Mancavano olre 6 mesi circa alla notte del capodanno 2021.
La pandemia che ci ha bloccati in casa per mesi, scardinando ogni nostra convinzione, modificando ogni nostra abitudine, è li a dimostrarci quanto il tempo possa essere dilatabile a seconda dell'intensità con cui lo viviamo, del ritmo con cui cadenziamo le nostre giornate.
Nella serialità contemporanea 6 mesi sono un'eternità.
Basti pensare che un'ipotetica classifica del best of 2019, scritta a Luglio, sarebbe stata stravolta pochi mesi dopo, il 31 dicembre 2019, lasciando fuori probabilmente l'80% dei titoli in top 10 in estate.
Ed è del tempo, con la T maiuscola, del concetto di tempo e di una sua fantascientifica contemplazione che Alex Garland ci parla in quella che potrebbe essere senza dubbio la migliore novità seriale del 2020:
DEVS
Scritta e diretta dallo stesso Garland (Annihilation, Ex Machina), la serie prevista nel palinsesto di FX inizialmente, è stata mandata in onda su Hulu in seguito alla recente acquisizione Disney.
Nel cast troviamo una colonna seriale come Nick Offerman (Parks and Recreation, Fargo), Alison Pill (The Newsroom, Star Trek: Picard) e la giovane Sonoya Mizuno vista nel recente Maniac insieme ad Emma Stone e Jonah Hill.
Il cast si completa con alcuni attori giovani e navigati che nel corso delle 8 puntate hanno saputo ritagliarsi una loro dimensione più che dignitosa nella serie.
Al cospetto di Alex Garland non possiamo che metterci comodi e immergerci nella sua intima e visionaria fantascienza.
Anche Devs lo è, cosi come lo sono stati i principali successi del regista.
E' una fantascienza se vogliamo ancora più intimista, ancora più levigata e smussata negli angoli, capace di coniugare l'aspetto prettamente emotivo ed umano a quello narrativo, a quello capace di farci saltare sulla sedia per alcune brillanti scelte.
Venendo alla trama, Devs ci porta dentro il quartier generale di Amaya, colosso dell'Hi Tech creato e controllato da Forest (Offerman). Al centro del "villaggio" troviamo una statua inquietante ed enorme che sovrasta chilometri di superficie in una Silicon Valley che funge da mero contesto sociale e pretesto narrativo.
All'interno dell'Head Quarter di Amaya vi è una struttura, segreta ed inaccessibile, che costituisce una sorta di Santo Graal del programmatore.
Il mistero sullo scopo finale del lavoro portato avanti in Devs è fitto sin dai primi minuti e saranno solo gli episodi conclusivi a svelarci la portata, la grandezza di quanto Forest ed i suoi programmatori stessero ideando.
E sarà proprio uno di quegli aspiranti programmatori a far collidere il mondo dentro Deus con quello al suo esterno, a far incrociare la vita di Lily (Mizuno) con quella di Forest, Katie, Lyndon e gli altri visionari membri del progetto top secret.
Ma è stato quello un incontro casuale, frutto di eventi concatenati fra essi ma totalmente caotici?
Minuto dopo minuto scoprirermo che il motore degli eventi è il dolore.
Il dolore immenso di un uomo, soffocato da una perdita che lo ha spinto ad andare oltre i limiti dell'umano pensiero, fondendo le menti più brillanti verso un unico obiettivo.
Per dirla con le parole dello stesso Garland:
"La mia idea viaggiava intorno a questo principio di determinismo, che sostanzialmente dice che ciò che accade nel mondo è tutto conseguenza di causa ed effetto. Questo ci toglie quindi il libero arbitrio. Se tu avessi un computer abbastanza potente, potresti predire il futuro e capire il passato”.
Determinismo, libero arbitrio, potenza computazionale, predittività, viaggi nel tempo.
L'ambizione della serie è altissima dunque e pur con qualche minuscolo difetto essa riesce a scavare abbastanza a fondo per dare vita e forza ai concetti chiave che il suo autore si era prefisso di raccontare, di tramutare in immagini.
E sono proprio le immagini il punto di forza di Devs.
Garland ci aveva già dimostrato nei suoi film quanto fosse in grado di alzare l'asticella estetica. Spesso, però, non era riuscito ad accompagnarle con uno sviluppo convincente di storie e personaggi.
Qui, invece, trova la quadra in maniera impeccabile.
E' il segno che la serialità se piegata alla tecnica, alla visione dei propri autori può permettere ad essi stessi di esprimersi meglio che nella settima arte.
Devs è una creatura di Garland al 100% ma elevata all'ennesima potenza.
La fantascienza è solo un pretesto per parlare dei temi di cui sopra.
Il linguaggio, lo stile dell'autore e regista britannico rendono l'esperienza visiva ancora più unica.
Sono tanti i temi che vengono affrontati nel corso degli 8 episodi.
Lily e Forest finiranno per essere 2 facce della stessa medaglia ma senza aver prima combattuto le loro battaglie, fatte di lutto e vendetta, ricerca e conoscenza, accetazione e sfida.
La sfida prima di tutto con se stessi, con le loro convinzioni.
Sono entrambi 2 personaggi universali che si trovano concretamente a fronteggiare la realizzazione pratica di una delle domande più pressanti dell'intera storia umana:
Cosa faremmo di fronte alla possibilità di tornare indietro?
O se vogliamo estendere ulteriormente il concetto:
Quale sarebbe il nostro comportamento se un giorno scoprissimo che ogni nostra azione non è dettata dal nostro libero arbitrio ma in un rapporto causa/effetto predeterminato?
Riusciremmo ancora ad avere la "voglia" di scegliere qualcosa? Crederemmo ancora nel valore delle nostre scelte? Vedremmo annichiliti istinto, sensazioni, gusti, pulsioni?
Siamo noi il frutto delle nostre scelte o siamo soltanto dei burattini in mano al destino?
Se dovessimo indicare una matrice dalla quale si diramano tutte le altre è forse proprio quest'ultima che collega ogni minuto di Devs.
Se il nostro destino è già scritto, che cosa diventa la vita? Che cosa diventiamo noi?
Come avrete notato, Devs è soprattutto una serie fatta di domande, nella piena tradizione della fantascienza.
Spogliata dal thriller, dalle faccende spionistiche, dai risvolti drammatici, quello che resta sono appunto domande universali.
Garland, prova a rispondere, a darci la sua versione dei fatti, la sua visione delle cose e lo fa riuscendoci molto bene, convincendo molto più che in altre occasioni.
Il finale non ha messo daccordo tutti ma ha indicato una direzione.
E'vero, è stato meno clamoroso di altri episodi, di altri momenti chiave che lo hanno preceduto (uno su tutti quello in cui Lyndon mette alla prova la sua cieca fede verso la scienza ed il teorema di Everett).
E'sembrato meno originale, meno potente, strizzando l'occhio ad ormai grandi classici come "San Junipero" o alcuni vecchi tratti del Doctor Who di Moffat.
E' stato comunque un perfetto compimento di un viaggio iniziato con un mistero che via via è diventato più grande, più universale ma non per questo meno complesso.
Ed è proprio la complessità a cui dovremmo aggrapparci quando siamo di fronte ad opere come questa. Sono opere che hanno una forte ambizione e che hanno il compito di tenerci svegli di fronte ai grandi temi della vita. Garland usa il suo preciso stile per condurci dentro ancestrali motivi di preoccupazione e di dubbio, differendo dal clamore visivo e tecnologico di Westworld o dalla tenerezza di una serie tv come Tales from The Loop, ma abbinando sperimentazione visiva e sonora ad un racconto stratificato e mai banale.
Devs riesce a non deragliare, a tenere la barra dritta dall'inizio alla fine.
Non era semplice.
Non ci sono conferme su un'eventuale seconda stagione, anzi. Molto probabilmente il viaggio di Lily, Forest, Lyndon, Katie, Jamie, Stewart termina con quel finale volutamente meno aperto di quello ci si sarebbe attesi.
Ed è forse un bene concludere con la consapevolezza di aver creato un vero gioiello, forse il migliore nuovo prodotto del 2020.
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