Amdanda Peet per voi è solo una bella donna che fa anche l'attrice?
Grey's Anatomy non è stata più la stessa da quando Sandra Oh ha lasciato la serie?
La diversità e il politically correct sono temi che reputate controversi?
Cercate una serie breve e piacevole, ovvero un cosiddetto Guilty Pleasure?
Come sempre ho qualcosa tra le mani per voi.
Serie tv di 6 episodi della durata di 30 minuti ciascuno.
Sandra Oh come protagonista.
Amanda Peet dietro il banchetto degli showrunner.
Professori universitari che crollano sotto i colpi della cancel culture.
The Chair è il titolo della serie tv Netflix che racchiude tutto questo e che sta, forse esageratamente, raccogliendo tante recensioni favorevoli.
E partiamo da qui, da questo mini trionfo a mio avviso ingiustificato.
Ho divorato la serie, letteralmente divorata in una serata.
Mi è piaciuta, mi ha fatto sorridere, mi ha lasciato trascorrere qualche ora sereno riuscendo anche a farmi riflettere di tanto in tanto.
Mentre la guardavo mi è capitato di pensare che fosse una buona serie.
Terminata la visione, puff...! La sensazione è svanita.
Di The Chair, della sostanza di The Chair, mi è rimasto pochissimo.
Ecco perchè la reputo una serie furba e molto più inconsistente di quanto possa sembrare.
Ma facciamo un passo indietro.
Sandra Oh è la nuova direttrice dell'università di Pembroke.
Prima donna e prima rappresentante della comunità asiatica a dirigere la prestigiosa università.
Messa lì per meriti ovviamente ma anche per ammodernare la vetusta istituzione e dipingerla di un genere ed un'etnia commercialmente di moda di questi tempi.
La nostra amata protagonista sarà osteggiata dai matusallemme dell'università, incontrerà numerosi ostacoli e dovrà custodire il professore geniale e tormentato che da solo regge il prestigio e attira studenti e di cui ovviamente è innamorata.
Questo rapporto e questo scenario offrono milioni di sfumature su cui riflettere.
Il valore dell'opportunità e del compromesso. La difficoltà dei rapporti. La sincerità delle polemiche e delle manifestazioni. La manipolazione delle informazioni e le fake news. La cancel culture e il valore dell'istruzione. Il male di vivere ed il bene di imparare.
Sono davvero tantissime le cose che vengono sfiorate dalle serie.
Esatto, sfiorate.
L'abilità di The Chair è quella di accarezzare temi importanti senza mai approfondirli, senza mai schierarsi davvero, senza mai osare fino in fondo.
Ji Yoon vuole andare fino in fondo ai problemi?
Yaz è disposta davvero a lasciarsi andare al compromesso?
I matusa perchè si schierano in quel modo?
Perchè Duchovny?
Bill si muove in una direzione o nell'altra?
Sono tanti i momenti in cui The Chair toglie il piede dall'acceleratore sul più bello.
La stanno acclamando tutti e ben venga ma non dimentichiamoci quale è la realtà seriale di questi ultimi 12-18 mesi.
E' una realtà fatta di Wandavision e Mare of Easttown, di Calls e Made For Love, di Anna e The Crown, di The Handmaid's Tale e Lovecraft Country, di Loki e I May Destroy You.
In questa Jungla la nostra cara The Chair non può neppure sedersi al tavolo, figuriamoci mettersi in testa al corteo.
Sandra Oh è sempre squisita e Jay Duplass esilarante intendiamoci ma parliamo di una serie che non ha nulla in più ad una qualsiasi serie di Ryan Murphy e che non ha quel tocco artistico alla We Are Who We Are o quella giovane solennità alla Generation.
E' un buon prodotto di intrattenimento.
Da vedere ma non da rivedere.
Da gustare ma non da consigliare a tutti i costi.
Seduti sulla nostra "The Chair".
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