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Maniac: the pattern is the pattern. La mente è un magnifico casino.

Cercate una serie da "manicomio"?


Ancora rimpiangete True Detective?


Jonah Hill ed Emma Stone insieme non li avete mai visti?


Cary Jojy Fukunaga al timone, Patrick Sommerfield a sceneggiare insieme al creatore di True Detective, Johah Hill ed Emma Stone come main cast, Sally Field e Justin Theroux come supporting cast.

Non è la presentazione di un nuovo film di grido con ambizioni da Oscar ma la presentazione di una delle serie tv più attese degli scorsi anni: Maniac.

Dobbiamo ringraziare ancora Netflix se questa creatura è nata.

Attesisssima e non a caso bellissima serie che vedeva il debutto del premio Oscar Emma Stone in tv e del candidato Oscar Jonah Hill nonchè il ritorno di una delle menti più ambite della serialità tutta, quel Cary Fukunaga che dopo aver stupito il mondo con la prima straordinaria stagione di True Detective si era pressochè ritirato dalle scene.

Al suo fianco un autore poco conosciuto come Sommerville ma che con The Leftovers era stato capace di sceneggiare una delle più belle e sorprendenti serie di tutta la storia contemporanea della serialità.

Come se non bastasse intorno al progetto vi era un alone di mistero grandissimo in quanto a formato, trama e sviluppo.

Al termine della visione dei10 episodi complessivi che costituiscono la serie, la soddisfazione e lo spaesamento per questa serie sono enormi, con la sensazione di aver assistito a qualcosa di unico, complesso e stratificato, con qualche piccolo difetto qua e là che non ha tuttavia compromesso il godimento nella sua totalità.

Protagonista silenziosa di questa serie è stata sicuramente la mente umana, i traumi che è costretta ad elaborare e le potenzialità immense che potrebbe avere in qualsiasi luogo, tempo e spazio.

Cosa vuol dire essere normali o meglio ancora sani di mente?

Nella serie spesso, per bocca del pesonaggio di Owen Pilgrim (Jonah Hill) viene sottolineato che egli sia Compos Mentis ovvero capace di intendere e di volere e di prendere delle decisioni in maniera consapevole e lontana da dubbi.

Se per le persone comuni questa sottolineatura può essere ridondante tale non è per chi come Owen è affetto da schizofrenia e da tutta una vita sente voci e vede persone immaginarie. Al contrario, Annie (Emma Stone) è ragazza forte, indipendente ed audace che ha però vissuto un'esperienza traumatica che non le permette di vivere appieno e con serenità la propria vita.

Entrambi sono oggetti non identificati in una cornice distopica che vede in una New York retrofuturistica lo scenario perfetto per questi 2 ragazzi complicati e soli.

Ed è in questo contesto che la scienza, la pseudoscienza prova ad insinuarsi, e lo fa con un'azienda farmaceutica che da anni prova ad entrare nelle menti di persone disturbate emotivamente, ed oramai disancorate dalla realtà in cui vivono, al solo scopo di poterne catturare traumi e distorsioni e curarle grazie a delle pillole che possano permettere loro di entrare in contatto profondo con la propria coscienza, consentendo loro di sconfiggere i propri demoni.

Con questo pretesto Fukunaga riesce ad iniziare un viaggio nella mente dei protagonisti, e soprattutto tra i generi, passando dal noir al fantasy, dalla spy story al drama familiare in un attimo, episodio dopo episodio con una facilità disarmante.

In un certo senso, Maniac, riesce ad anticipare quello che WandaVision avrebbe portato alle estreme conseguenze con la sua straordinaria prima serie, fatta proprio di espedienti stilistici e di genere che giocavano con i formati ed i colori, i riferimenti e i cambi repentinei di decennio nel quale ambientare la propria personalissima sitcom.

La serie, data la sua complessità visiva e narrativa, potrebbe sembrare come una serie esteticamente piena di sè (un pò come avvenuto per Homecoming di Sam Esmail, dove invece era lo stile ad essere il vero protagonista più che la storia e i suoi personaggi), come un esercizio di stile e una lunga cavalcata verso orizzonti noti solo ai creatori ma è di fatto qualcosa molto più fruibile di quel che si pensi, con un messaggio semplice, quasi banale alla radice.

Maniac gioca coi generi, gioca con la mente di spettatori e protagonisti, vive di rimandi visivi e narrativi continui eppure episodio dopo episodio ci suggerisce dei risvolti molto semplici andando a puntare tutto sull'aspetto umano della vita di ognuno di noi.

Ad un certo punto sentiremo una frase nella nona puntata che da sola potrebbe essere manifesto della serie:

Nessuno di noi conosce davvero se stesso, ecco perchè in fondo siamo tutti uguali

La ricerca di se stessi è forse il vero scopo della vita di un uomo. Non la ricerca di un senso esterno a noi o la ricerca della felicità ma la ricerca del nostro vero io. Quando lo facciamo ci troviamo in un labirinto che è dentro noi stessi, dentro le nostre menti e siamo noi gli unici a poter trovare la via di uscita.

Per trovarla dovremo fronteggiare i nostri demoni, i nostri traumi, accettare i nostri vicoli ciechi, fare i conti con i momenti fissi della nostra vita che non riusciamo a superare o elaborare.

A volte un lutto, come nel caso di Annie, può definirci e bloccarci in un loop di depressione e staticità emotiva. Altre volte il sentirsi di troppo nel mondo, nella propria famiglia, nel proprio lavoro, come nel caso di Owen, può farci diventare alieni soprattutto verso noi stessi.

Non riuscire a capire noi stessi significa mettere un muro fra noi ed il mondo che ci circonda.

Quel muro può essere abbattuto solo da noi stessi e da tutte quelle persone disposte ad accettarci per quel che siamo e scoprire giorno dopo giorno il bello di noi stessi.

Un messaggio ed uno scopo completamente anticlimatici rispetto a quanto la serie mette in scena a livello di regia, fotografia, sceneggiatura e riferimenti.

Emma Stone è bravissima e limpida nella sua interpretazione, cosi come ci si aspettava da un'attrice del suo calibro. Justin Theroux è devastante con tutte le sue nevrosi e crisi isteriche. Sally Field è sublime nell'interpretare una donna forte e di successo prima e un'intelligenza artificiale cosi umana ed empatica come GRTA poi.

Un cast eccelso, dunque, sul quale però spicca, inaspettatamente, Jonah Hill. E' lui fin dal primo episodio a catalizzare la nostra attenzione, con una recitazione sofferta, sanguinante che fa del lavoro per sottrazione il suo mantra. Hill è un gigante perchè con i suoi microgesti e le sue microespressioni riesce a caricare il suo personaggio di una fragilità emotiva francamente devastante, rendendolo uno schizofrenico sui generis, sofferente e depresso e quasi mai pazzo come ci si potrebbe aspettare, memori dello stereotipo dello schizofrenico pazzo e irrequieto che la tv e il cinema ci hanno sempre propinato.

La serie rappresenta uno dei migliori prodotti degli ultimi anni nel complesso e una delle innovazioni più significative degli ultimi 10 anni nonostante qualche difetto in fase di caratterizzazione dei rapporti fra personaggi e incastri fra le varie storyline, che non sempre riescono alla perfezione.

Questo e tante altre considerazioni permettono a Maniac di attestarsi come un unicum che tra Legion e Black Mirror affonda a piene mani nella serialità contemporanea per ridefinire a suo modo quanto si vuole raccontare, divenendo una serie manifesto del nuovo millennio, di Netflix e dell'epoca della "peak tv" attuale.

The Pattern is the pattern, Maniac is Maniac ovvero un capolavoro sbavato e disfunzionale.


 

Sviluppo Personaggi: 7,5

Complessità: 9

Originalità: 9,5

Autorialità: 7,5

Cast: 9

Intensità: 6

Trama: 4,5

Coerenza: 5,5

Profondità: 7

Impatto sulla serialità contemporanea: 4

Componente Drama: 8

Componente Comedy: 1

Contenuti Violenti: 2

Contenuti Sessuali: 1

Comparto tecnico: 8,5

Regia: 9

Intrattenimento: 6

Coinvolgimento emotivo: 6

Opening: 5

Soundtrack: 7

Produzione: Netflix

Anno di uscita: 2018

Stagione di riferimento: 1

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