Poche mattine fa, al risveglio, trovo sul mio smartphone una notifica relativa ad una recensione sulla seconda stagione di Love, Death & Robots, amatissima e particolarissima serie tv Netflix ideata da David Fincher, autore di film leggendari come Seven, Fight Club, The Social Network, Il curioso caso di Benjamin Button, Zodiac, nonchè della fortunata serie Netflix dal titolo Mindhunter.
Non stiamo parlando, dunque, di uno passato lì per caso, non uno youtuber di 15 anni col berrettino al contrario e il poster degli One Direction in cameretta.
Circa 2 anni fa, Fincher lanciò una serie animata di cui sarebbe stato produttore esecutivo e demiurgo ma che avrebbe visto la partecipazione di registi e creatori differenti da lui per la realizzazione dei singoli episodi.
Nacque Love, Death & Robots, serie animata antologica che in molti definirono, forse troppo superficialmente, la Black Mirror animata.
Il motivo di questo paragone risiedeva nella struttura antologica e nella volontà di raccontare l'uomo e la vita attraverso il futuro, attraverso piccoli estratti di un immaginario mondo che verrà, tra distopia e tecnologia rivoltosa e rivoltante.
Love, Death & Robots finì per essere soprattutto un esercizio di stile, grazie ad episodi sperimentali e di durata brevissima (dai 6 minuti ai 20 minuti ad episodio), dove gli autori alternavano varie tecniche legate al mondo dell'animazione ed esploravano mondi reali ed immaginari molto colorati e variopinti ma densi di orrore, violenza e un pizzico di speranza per un mondo alla deriva.
Fincher & co erano riusciti ad attrarre a sè gli esteti, gli amanti delle arti visive in senso stretto, quelli per cui l'immagine, la tecnica, la sperimentazione viene sempre prima di tutto, dimenticando e respingendo coloro i quali nel cinema, nella tv, nella pittura cercano la poesia, il sogno, la sensualità dell'esistenza, la magnificienza della mente, la passionalità del cuore.
In parole povere, a Love, Death & Robots era mancata un'anima, proprio come i tanti robot che affollavano gli episodi della prima stagione.
Il mio non essermi accorto che la seconda stagione stava arrivando dice, forse, inconsciamente che la prima annata non mi aveva convinto appieno (basti guardare la posizione occupata dalla serie nel mio classificone delle migliori serie tv del 2019) e che, quindi, non ero abbastanza curioso e ansioso dell'approdo di un secondo ciclo di episodi.
Al netto di questa mia intima presa d'atto, avrà la seconda stagione corretto ciò che non andava e preservato i propri punti di forza?
No. Non ci è riuscita.
Direi, anzi, che vi è stato un palese passo indietro.
La prima stagione aveva peccato di contenuti probabilmente ma aveva offerto tantissimi spunti, ottime idee, una visione interessante del mondo che però non si era tramutata in una visione di insieme, in un racconto organico, in un'approfondita analisi di quello che la serie si proponeva di raccontare.
La seconda stagione è più breve, meno interessante, visivamente meno impattante, sperimentale quanto la prima e dunque capace di autoannullare la spinta innovatrice della prima annata ma soprattutto non riesce mai a regalare atmosfere degne di un prodotto che voglia distinguersi per l'abilità di farci riflettere attraverso mondi e personaggi immaginifici e irreali, ma non per questo meno veri.
Sono solamente 2 gli episodi che, a mio avviso, sono riusciti a scavare abbastanza in profondità da lasciare lo spettatore con il punto interrogativo fisso nella nuvoletta vignettistica appoggiata sul proprio capo. Sono frammenti di lucida introspezione che provano, quantomeno, a farci fermare un attimo con noi stessi e domandarci quale è il nostro reale rapporto con l'esistenza e con tutto quello che ci circonda.
Pop Squad è uno degli episodi meglio riusciti di tutta la serie.
In un mondo popolato da uomini eterni, non vi è più necessità di mettere al mondo nuovi figli. La procreazione è vista come un reato ma alcuni "dissidenti" provano ancora a popolare la terra con nascituri innocenti e sorprendenti. Partendo da questo spaccato distopico, l'episodio riesce a caricarci di un peso sulla coscienza non da poco. Eternità vuol dire infinito, infinito vuol dire, paradossalmente, mancanza di sorprese, appiattimento, desensibilizzazione rispetto alla bellezza che alberga nell'universo. L'uomo immortale è, di fatto, un uomo morto?
E' filosoficamente un tema molto interessante quello che nell'episodio in questione viene affrontato e che lascia la speranza che Love, Death & Robots, quando vuole, riesce ad essere molto efficace.
Altra puntata che ha soddisfatto lo spirito di chi in questa serie cercava qualcosa "di più" è stata quella conclusiva dove un gigante si arena su una spiaggia di un paesino.
Allo stupore iniziale si combina, col passare dei giorni, una furente insensibilità dei curiosi che da festosi e meravigliati diventano dei meri vandali e voyeur senza un minimo di rispetto e dignità per un corpo morto giacente sulla spiaggia.
La figura del "mostro" si associa a quella dell'ignoto, del diverso e la reazione degli astanti è una metafora di quanto, tutto sommato, avviene ogni giorno sui social network o nella società reale dove spesso finiamo per essere indifferenti anche alle cose che, inizialmente , accogliamo con entusiasmo.
Fatta eccezione per questi 2 episodi, è innegabile che i restanti spezzoni siano serviti soprattutto ad intrattenere e, ancora una volta, esercitarsi a creare delle grafiche "fighe" e degli scenari particolarmente fantasiose.
Non c'è stata, purtroppo, la volontà di concentrarsi maggiormente sulla sostanza delle cose, ripetendo ed esasperando lo stesso errore commesso nella prima stagione, depotenziando il racconto in favore dei guizi e dei vezzi grafici e visivi.
Dopo 2 annate e oltre 20 episodi, appare chiaro che Love, Death & Robots altro non sia che un laboratorio artistico dove ogni regista ed autore può cimentarsi nel mettere in atto le più recondite fantasie e animarle con episodi visivamente eccezionali e sempre differenti fra loro ma che mancano di quegli strati, di quei livelli di approfondimento che ci si aspetterebbe da un prodotto cosi ricco di potenzialità e tanto celebrato.
Netflix aveva, stavolta, osato un po di più di quanto stia facendo ultimamente (per esplorare il mondo Netflix attraverso le mie recensioni vi consiglio di visitare questa pagina), mettendo in campo molte energie e tante competenze per un prodotto che avrebbe dovuto (e potuto) cambiare le regole del gioco.
Per certi versi ha offerto degli spunti in grado di apportare dei cambiamenti rispetto al genere nel quale si inserisce. E' innegabile, infatti, che elementi come la durata, la varietà di tecniche utilizzate, il portafoglio di generi e temi trattati, abbia portato una ventata di aria fresca ma è fuori di ogni dubbio che a livello qualitativo, contenutistico e autoriale non ci sia stato quel passo in avanti che tutti ci aspettavamo.
La seconda stagione, purtroppo, non migliora le cose, rappresentando un passo indietro o, nella migliore delle ipotesi, un assestamento rispetto alla prima.
L'amaro in bocca è enorme, anche perchè in giro c'è davvero un'offerta enorme, per tutti i gusti e tutti i palati.
Da oggi, Love, Death & Robots passa definitivamente nel calderone dei cosiddetti Guilty Pleasure, abbandonando ogni velleità di essere un prodotto maturo e debordante.
Peccato.
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