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Peaky Blinders lascia senza alcun rimpianto ed a testa altissima

Quante sono le serie da ricordare davvero?


Cosa passa tra il bello ed il capolavoro?


Quanto è importante non essere dimenticati?


Peaky Blinders è una di quelle serie fondamentali, una di quelle che un buon serialfiller non può non conoscere e non può non aver guardato, ammirato, digerito, studiato e sponsorizzato almeno una volta nella vita.

Il 2022 ci sta regalando una marea di addii. Da Killing Eve ad After Life, passando per Ozark e Better Call Saul, questo si preannuncia l'anno dei grandi finali. Alcuni hanno toppato, altri topperanno ma altri, come Peaky Blinders, non ammetteranno sconfitta e sino all'ultimo proveranno a convincerci che, la fine non sarà davvero la fine bensì l'inizio del ricordo che noi amanti delle serie tv serberemo in cuor nostro per il resto della nostra esistenza.

Tommy Shelby e famiglia ci hanno salutati con una stagione finale tenebrosa, luttuosa, cruenta, macchiavellica, come sempre, più di sempre. Quello che questa stagione ha aggiunto ed evidenziato ulteriormente è lo spessore che questa serie ha sempre avuto ma che spesso ha nascosto dietro lame e pistole e che oggi emerge in tutta la sua potenza.

La stagione finale ci ha lasciati con una certezza.

Peaky Blinders, da oggi sarà una serie fondamentale.

Onde evitare di essere linciati come un qualsiasi opinionista sgradito, voglio subito puntualizzare che questa stagione non è stata esente da difetti e scelte discutibili e, in alcuni casi, forzate.

Pensiamo al peso che è stato concesso alle tematiche divine e soprannaturali, dalle visioni di Tommy alle premonizioni della defunta Polly, dalla maledizione del "Sapphire" alle tante sfumature gipsy tra il sacro e il profano.

Pensiamo anche a quanto alcune coincidenze siano state salvifiche, ad un passo dal decretare l'ingresso di famigerati deus ex machina che, da sempre, rappresentano un vero fardello per la buona scrittura di un qualsiasi script.

E ancora pensiamo a quanto siano stati marginali, nelle fasi calde, alcuni personaggi esiziali per la serie come Solomon ed Oswald.

Infine, ragioniamo anche a come in alcuni punti della sceneggiatura si sia forzata la mano (Tommy che scopre del dottor Holford da un ritaglio di giornale che non aveva letto, Tommy che viene "ucciso" 2 volte da Oswald rendendo ridondanti momenti legati al tubercoloma ed alla spedizione americana).

Ho preferito passare in rassegna, prima le cose che non hanno funzionato benissimo proprio per provare ad amplificare e rendere più "indiscutibile" quello spessore di cui vi parlavo in apertura.

E veniamo, allora, allo spessore.

Vi pongo una domanda, un esercizio da fare a casa. Quando chiedete a qualcuno di parlarvi di Peaky Blinders, quel qualcuno a cosa pensa?

Vi parlerà, molto probabilmente, delle uccisioni, dell'ascesa al potere degli Shelby, delle macchinazioni geniali di Tommy, del caratteraccio di Arthur, delle tante scorribande dei Peaky Blinders nei sobborghi di Birmingham e dell'Inghilterra di quegli anni fuliginosi.

Nessuno, probabilmente, vi parlerà della qualità insita nelle pieghe della serie, qualità che emersa anno dopo anno e che non ha mai vissuto fasi alterne, riuscendo ad essere robusta come il tronco di un ulivo secolare e solida come granito.

Analizzando, infatti, tutte le componenti principali che caratterizzano la buona riuscita di un prodotto audiovisivo, ci accorgeremmo che Peaky Blinders non ha veri punti deboli.

Partiamo da quello che spesso attira maggiormente il pubblico, ovvero il cast.