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Atlanta è una delle serie più atipiche su piazza (e una delle migliori)

Agognate una serie diversa?


Non siete dei tipi canonici?


Il tema legato al Black Lives Matter è molto importante?


Sono trascorsi ben 6 anni da quando Donald Glover ci regalò quella che sarebbe diventata una delle comedy (ma davvero si può incasellarla in un genere?) più acclamate e premiate dalla critica.

Ciò nonostante, sono sicuro che se lanciassi in rete un sondaggio su un campione di 10.000 utenti in Italia a cui chiedere se conoscano o meno la serie in questione, mi ritroverei con un plebiscito di "NO".

Atlanta è una serie conosciuta da pochissimi, e questo è un peccato, un grosso peccato.

Da buon Evangelista della serialità quale mi reputo, vi esorto a recuperarla, conscio che in molti potrebbero ritornare da me chiedendo delle spiegazioni e l'ideale rimborso di un virtuale biglietto.

Il 2022 sancisce il ritorno della serie di FX (qui trovate una serie di post sugli show della cable tv statunitense) ed è un ritorno che fa piacere e che spiazza come mai prima, grazie ad una struttura molto articolata e stravagante con la quale Glover ci riproietta nella sua creatura.

Adoro, adoro, adoro quando, al cospetto di una serie, fatico a trovare un genere o una categoria all'interno della quale posizionare quello show.

Capita raramente e quando capita è una gioia.

Qualche esempio?

Prendete The Great (Qui la recensione), lo show su Caterina la Grande e con una splendida Elle Fanning come potremmo inquadrarlo? Una comedy? Beh, si. Si ride tantissimo. Una rivisitazione storica? Non sbaglieremmo. Un dramedy? Di drama ce ne è tanto, sia organico che individuale. Un divertissement? Assolutamente si. La bellezza di The Great sta anche nel fatto di essere indecifrabile rispetto ai canoni classici.

Altro esempio sarebbe Fleabag o Hacks o Masters of None (qui la recensione) o per restare nel 2022 citerei un'altra serie di FX come The Bear (qui la recensione). Il concetto di dramedy nasce proprio dall'esigenza di ospitare dentro una categoria serie tv di questo tipo. Nei casi sopra citati, ed in quelli più virtuosi, è frequente ritrovarsi di fronte a dei titoli che rifuggono anche quella categorizzazione che, d'istinto, ci verrebbe di indicare.

Atlanta, probabilmente, è collocata all'estremo di questo spettro di per sè già molto difficile da rappresentare.

E' divertente ed acuta, racconta di un tema gigantesco come quello della situazione attuale in cui versano gli afroamericani e di come la società "bianca" si approccia ad essi. Atlanta è ferocemente spietata nel tratteggiare cosa siamo diventati al cospetto dell'esplosione della moda dell'inclusività, riuscendo ad approfondire in maniera millimetrica tutte le deviazioni, spesso grottesche, rispetto a questo tema. I personaggi sono reali, verosimili ma incredibilmente eccessivi (basti pensare alla versione psicotica di Van che abbiamo incontrato in questa stagione). Non vi annoierete mai ma faticherete, in prima istanza, a capire dove voglia andare a parare Glover. Perchè dovremmo ridere? Perchè dovremmo riflettere? Perchè dovremmo interessarci ad un racconto che sembra essere improbabile?

Domande lecite a cui rispondo con un'altra domanda che vi pongo e mi pongo nel pensare ad Atlanta.

Perchè non dovremmo farlo?

La summa del discorso intrapreso da Donald Glover 6 anni fa è forse rappresentata dal bellissimo episodio esposto nel corso della terza stagione e di cui vi ho voluto parlare esclusivamente in questo post che vi consiglio di recuperare. Il titolo dell'episodio è Rich Wigga, poor Wigga ed è girato interamente in monochrome.

In quell'episodio viene ribaltata totalmente la prospettiva discriminatoria in cui per secoli si sono ritrovati gli afroamericani. Per un momento, ed in uno specifico contesto, sono gli afroamericani ad essere i favoriti dalla discriminazione con i "bianchi" di improvviso costretti a rincorrere. Ribaltare la prospettiva è da sempre stato un modo efficace per convincere le persone più inconvincibili di come sarebbe vivere una vita cosi diversa da quella che, per cultura, religione, colore della pelle, estrazione sociale si è chiamati, quasi per diritto divino, a vivere. In questo episodio, infatti, solo i ragazzi "black" possono accedere ad una borsa di studio succulenta. Questo bando introduce, per sua stessa natura, una componente discriminatoria per chi "black" non lo è, suscitando lo sgomento, la paura e la rabbia di chi non potrà accedere a quei soldi, a quella fortuna, a quel privilegio solo a causa del colore della propria pelle.

E' un meccanismo efficacissimo che ci permette di provare quello che per secoli hanno provato le Black Lives, costringendoci a riflettere, ulteriormente sul carattere intrinsecamente razzista di alcuni pezzi della nostra evolutissima società.

Donald Glover, però, non si è fermato qui aggiungendo molte sfumature al mondo che vuole raccontare e rappresentare, un mondo che non si ferma alla sola componente passiva riguardante la cultura e la posizione afroamericana nell'America e nell'Europa di oggi ma che sfocia anche in una sorprendente componente attiva dai risvolti grotteschi.

Per permettersi tutto ciò, l'autore suddivide la stagione in 2 grossi filoni.

Il primo segue i personaggi di sempre nel loro psichedelico cammino dentro i meandri della società odierna.

Il secondo si serve di una struttura antologica per raccontare 5 storie completamente scollegate fra loro, e di cui Rich Wigga, Poor Wigga fa parte, atte a definire meglio i contorni del tema di fondo che si propone di approfondire.

L'Odissea contemporanea di Al, Earn, Darius e Van è assolutamente indefinibile.

I nostri eroi, infatti, sono fondamentalmente dei sopravvissuti alla comune dialettica per cui se sei afroamericano in America dovrai faticare e spesso dovrai soccombere.

Paper Boy è oramai un cantante affermato, tanto da potersi permettere un tourneè in Europa, dove l'intera parte focalizzata sui personaggi storici è ambientata. Earn e Darius sono garantiti dal successo dell'amico e con lui riescono a ritagliarsi uno spazio vitale che fino a qualche anno prima era loro precluso. Van, stupenda outsider di questo gioco, è una mina vagante che può concedersi una vita parallela senza perdersi nulla di quello che il mondo ha da offrirle. La fama, i soldi, la visibilità sono armi potentissime che permettono l'emancipazione ma che, dall'altra parte, concedono l'ingresso in un mondo assurdo che la società contemporanea ha voluto creare per espiare le colpe dei propri antenati.

E cosi, nell'incredulità dei nostri beniamini, viaggiamo all'interno di gallerie d'arte, locali segreti, speak easy, ville megagalattiche dove scopriamo che, nel tentativo di accettare l'uomo nero, i "bianchi" hanno mercificato tutto ciò che ha a che fare con la cultura afroamericana. Opere d'arte strapagate solo perchè ideate da un "black". Milioni di euro versati nelle casse di un fantomatico artista di strada solo perchè "black". Cimeli esposti ovunque solo per dotarsi di un improvvisato "black washing". Stereotipi che variano restando sempre uguali a se stessi.

Tutto cambia per non cambiare mai.

Le vicissitudini di un paper boy travolto dalla sua stessa fama e dalle assurdità che lo circondano, ci mostrano come la forma sia cambiata ma spesso la sostanza sia rimasta la stessa, affogata in un sottobosco impensabile che però risulta più verosimile che mai.

La figura di Van, alla ricerca di sè stessa, è emblematica.

La ragazza, pur di evadere dal ghetto e dall'immagine che ha di sè stessa come donna afroamericana single con prole, senza lavoro e senza speranza, si reinventa novella Ameliè, aggirandosi per le strade parigine come fosse una donna nata in Francia, vissuta in Francia e disposta a tutto (anche a friggere e mangiare una mano umana) pur di apparire qualcosa di diverso. Il cameo di Alexander Skarsgaard è straordinario. L'attore di Succession, The Big Little Lies e The Drummer Girl è pazzesco nell'interpretare una versione abbastanza deviata di sè stesso.

Attorno al suo paradossale personaggio c'è tutto il malessere esistenziale di un popolo che è passato dall'essere merce fisica e psicologica dell'uomo bianco ad esserne un inconsapevole giocattolo.

La parte più antologica, invece, serve a mostrarci degnamente come l'uomo bianco, anche quello più superficialmente tollerante e ben disposto, sia riuscito a perdere se stesso in questa transizione culturale. Nei 5 episodi che testimoniano questo passaggio, assistiamo a uomini e donne che, sotto sotto, non riescono ancora ad accettare di non potersi considerare esseri superiori rispetto ai concittadini dalla pelle nera. E' una convivenza pacifica e serena quella che viene tratteggiata ma che viene scossa nelle fondamenta quando, come nel caso di Rich Wigga, Poor Wigga, l'uomo bianco viene messo in secondo piano, dagli eventi e dalle circostanze, rispetto all'uomo nero. E' lì, in quei momenti, che emerge tutta l'incapacità di sentirsi veramente uguali verso il diverso. E' lì che la società dell'inclusività va a farsi benedire, andando in frantumi come un vaso di vetro scaraventato al suolo.

La terza stagione è una chicca unica che migliorerà la vostra giornata e vi garantirà sicuri spunti di riflessione e divertimento.

E' una stagione atipica nella struttura, nella concezione e nella messa in scena e che fa da viatico ad una quarta stagione che è già disponibile su FX a soli 6 mesi dal rilascio della stagione qui recensita.

Non perdetevela.



Sviluppo Personaggi: 8

Complessità: 9

Originalità: 10

Autorialità: 9,5

Cast: 7,5

Intensità: 6

Trama: 6

Coerenza: 7

Profondità: 9,5

Impatto sulla serialità contemporanea: 7

Componente Drama: 5

Componente Comedy: 9

Contenuti Violenti: 3

Contenuti Sessuali: 3

Comparto tecnico: 7

Regia: 7,5

Intrattenimento: 9

Coinvolgimento emotivo: 5

Opening: 1

Soundtrack: 6,5

Produzione: FX

Anno di uscita: 2022

Stagione di riferimento: 3

163 visualizzazioni

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