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Ethos: dalla Turchia con poco furore ma tanta eleganza

Chi lo ha detto che dalla Turchia possono arrivare solo schifezzuole alla Daydreamer, roba per drogare gli ormoni, e di ormoni, maschietti e femminucce di tutto il mondo?

Ethos, la serie tv turca di Netflix che ha esordito nel 2020, sta a lì a dimostrarci che dal paese soffocato dalla semidittatura di Erdogan possono nascere dei fiori coloratissimi e delicatissimi come questa miniserie (ed il grande De Andrè torna alla mente col suo leggendario "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior").

Ethos è quanto più di vicino al termine autoriale si possa immaginare.

Non ha bisogno di coupe de theatrè o di stelle filanti per farsi notare, non ha la necessità di distruggere per costruire, non ha la volontà di essere vista nè tantomeno giudicata o amata.

Il suo unico desiderio è quello di esistere e di far sentire la propria voce, di scandire il proprio ritmo, di testimoniare il suo punto di vista sul mondo, sulla fede, sulla donna.

Non è una serie tv diretta e di semplice assimilazione ma è un prodotto capace di entrare sotto pelle e lasciare sensazioni di enorme rilievo.

La serie tv turca è un candido esempio in cui il titolo, se non tutto, dice moltissimo.

La parola greca Ethos è un coacervo di significati paralleli e differenti a seconda del punto di vista da cui vogliamo leggere ed analizzare questa semplice parola formata da 5 lettere.

Da letterale "il luogo da vivere", al contemporaneo "Etica", passando per significati più rotondi come "temperamento", "carattere", "inizio", fino alla filosofia nascosta dietro la parola "Etica", filosofia che teorizza l'arte del vivere, la vita stessa.

Capite bene che confrontarsi con queste 5 lettere può essere una delle cose più ambiziose che un essere vivente e pensante possa mai cercare di fare nell'arco della propria esistenza.

Berkun Oya, autore della serie, ci ha provato, ed il risultato è di quelli che stentano a farsi dimenticare, scavando un solco profondo, quantomeno nella mente di quel popolo che Oya ha scelto di raccontare.

E' impossibile, infatti, scindere qualsiasi valutazione rispetto al contesto rappresentato.

La Turchia è un paese che chiunque abbia visitato loderà per le sue bellezze e contaminazioni ma che al tempo stesso viene raccontato come un paese ostaggio di sè stesso e di un regime, più o meno palpabile, che impone troppo per poter essere reputato democratico.

In una situazione di per sè stessa al limite e molto pericolante, si inserisce una religione che, oltre ad avere una moltidudine di aspetti positivi, nasconde una certa misoginia ed una costante predilizione dell'obbligo di fronte alla scelta.

Nel raccontare questo mondo, Oya ha deciso di parlarci della donna, del suo ruolo, della sua dimensione in una società multiculturale e aperta al mondo occidentale ma ancora fortemente ancorata a tradizioni patriarcali e ad un limbo fatto di sopraffazione e di non detti che relegano la donna ad essere solo quello che potrebbe essere utile alla società e agli uomini che la governano e la regolano in ogni aspetto, dalla politica alla religione, dalla famiglia al lavoro.

L'insistenza sulle vite delle protagoniste Meryem, Yasin e Ruye, ci permette di capire come le donne, oggi, siano legate l'una all'altra da un filo rosso impossibile da recidere.

Non è un caso se ognuna di esse rappresenti una piccola porzione di mondo. La donna col velo. La donna in carriera. La donna in mezzo a questi 2 mondi.

Ognuna di esse sembra guardare all'altra con dubbio, quasi con sospetto, finendo però per realizzare che quella figura tanto lontana non è altro che una faccia della stessa medaglia, e ancor di più l'immagine di una sè stessa alternativa, parallela, frutto di una serie di eventi che hanno portato una a diventare psicologa ed emanciparsi e l'altra ad occuparsi delle faccendi di casa, l'una a sfoggiare abiti occidentali e l'altra a non separarsi mai dagli abiti imposti dalla propria fede, l'una a lavorare su sè stessa e per sè stessa, l'altra a vivere per la famiglia e per gli uomini che ruotano intorno alla propria esistenza.

Ethos ci mostra quanto sia difficile essere donna in Turchia oggi, quanto le difficoltà imposte dall'ambiente circostante si sommino a quelle più intimamente avvertite da ognuna delle protagoniste, eternamente in colpa con sè stesse per non essere quelle che avrebbero voluto in alcuni casi e per essersi distaccate dalle tradizioni in altre.

Quello che emerge è un ritratto poderoso della donna e della società raccontata nella serie e non è un ritratto a posteriore ma vivo e vegeto in quello che oggi sta realmente accadendo in quella zona del mondo cosi vicina a noi geograficamente eppure cosi distante culturalmente.

Potrà sembrare banale ma una delle cose che più colpisce di Ethos è la bellezza della donna.

Le protagoniste sono tutte accomunate da una bellezza folgorante, mai evidente ma che episodio dopo episodio emerge sempre più prepotentemente.

In un mondo come quello raccontato, con le donne obbligate spesso ad essere uno strumento nelle mani dell'uomo, educate sin da bambine a non mostrarsi, a non eccedere, a non immaginare un futuro diverso da quello prestabilito, è estasiante guardare i loro occhi e scoprire i loro volti, volti consumati dal lavoro o dalle preoccupazioni, sognanti e sorridenti, depositari di un vissuto pienissimo che dona loro una radiosità straordinaria.

Ammirare Meryem, Yasin e tutte le altre protagoniste nella loro fulgida bellezza è un'emozione che trionfa sul resto e tutt'altro che banale ma, anzi, foriera di una sorta di percorso ad ostacoli culminato con la gioia di una vittoria soprattutto simbolica.

Le donne di Ethos sono bellissime proprio perchè custodi di qualcosa di inimmaginabile, tesori celati da un velo e usurati da un tempo trascorso ad occuparsi degli altri e mai di sè stesse, impiegato a dimostrare di poter essere qualcosa di più di un paio di braccia da prestare al lavoro o di essere un centro della fertilità ambulante, buono solo a proseguire dinastie e compiere il volere di Allah.

Gli uomini, pur molto presenti nella serie, sono il contraaltare perfetto, resi minuscoli da una messa in scena che gioca molto sulle panoramiche e su campi aperti zoommati in avanti e all'indietro con frequenza disarmante.

Per una volta essi sono divorati dalla determinazione, il coraggio, la vita, il fascino delle donne che, per abitudine, per fede e per desiderio, sono soliti utlizzare come qualcosa di proprio, di possessivo.

Ethos è una serie tv straordinaria, una serie che dovete consigliare ai vostri amici più attenti alla qualità, all'autorialità, a quelli che non hanno paura dei silenzi e che non pensano che siano i colpi di scena ed il ritmo a determinare il successo e la grandezza di una serie tv.

Ma Ethos è anche una serie tv adatta a tutti quelli che vogliono capirci di più di un mondo capovolto come quello raccontato, estremamente diverso dal nostro, estremamente difficile da inquadrare e da scoprire nel suo profondo.

La serie tv turca è capace di raccontarcelo senza farcelo vedere davvero, senza portarci nei luoghi della politica, della propaganda, della società turca conosciuta attraverso i tg o gli articoli di giornale.

Non è semplice, non è veloce, non è sempre digeribile ma è una di quelle serie da ricordare, da menzionare, da sfoggiare per "fare bella figura" se volete ma è soprattutto un prodotto che pretende un posto nel mondo, in un mondo che dimentica troppo spesso queste storie e che forse avrebbe bisogno di ascoltare e conoscere bene certe realtà per poterle comprendere appieno e provare ad abbracciarle in tutta la loro complessità.



 

Sviluppo Personaggi: 7,5

Complessità: 9,5

Originalità: 8

Profondità: 10

Cast: 6,5

Trama: 5

Impatto sulla serialità contemporanea: 7,5

Componente Drama: 7

Componente Comedy:0

Comparto tecnico: 9

Regia: 9

Intrattenimento: 1

Coinvolgimento emotivo: 7+

Soundtrack: 8

Produzione: Netflix

Anno di uscita: 2020

710 visualizzazioni

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