Siete tra i pochi al mondo a non essere incappati in un meme di strani personaggi vestiti di rosso e con quadrati, triangoli, cerchi apposti sul viso?
O siete tra quelli che di quei meme, di quegli articoli, di quelle chiacchiere si sono rotti i famigerati cojones?
O magari siete tra quelli che non ne hanno mai abbastanza dei suddetti meme, articoli e chiacchiere?
Oppure (e lo spero) siete tra quelli (sempre troppo pochi) che non vedevano l'ora di leggere la mia opinione al riguardo?
Al riguardo di cosa?
Di Squid Game ovviamente, e di cosa sennò?
In realtà, e per dovere di cronaca, proprio perchè preso dall'ansia di restare indietro (visto che su questa strepitosa serie ero davvero arrivato assai in ritardo) vi avevo accennato la mia opinione rispetto al primo debordante episodio. Dove? Cliccate qui curiosoni.
Oggi, invece, a bocce ferme e mente più o meno rilassata, torno su tutta la prima stagione, conscio di essere forse il milionesimo signor nessuno a parlarne.

Il fenomeno Squid Game, come tutti i fenomeni di massa, ha finito per polarizzare oltremodo una discussione che, a mio avviso, sarebbe dovuta restare nell'ambito dello "Squid Game è una delle migliori serie degli ultimi anni, mettiamoci l'anima in pace, decidiamo solo se debba essere una top 3, una top 10 o una top 20". E invece, come spesso accade quando qualcosa di residuale diventa qualcosa di accecante, specie se ammantata da un alone di mistero e seducente stupore, subito parte la corsa al trovare il famoso capello nell'uovo e provare a rendere quella cosa un qualcosa di già visto, pericoloso, non esattamente perfetta e cosi via.
E' successo anche con la serie coreana di Netflix ed è successo soprattutto in seguito al clamoroso successo della serie in ogni parte del pianeta, compresa la nostra italietta.
Il rischio, che spero e credo di aver evitato, è quello di farsi travolgere dal contrattacco degli hater o dei finti intenditori e iniziare a percepire come sopravvalutata una serie che invece non lo è.
Il fenomeno Squid Game ha saputo intrigarci e svegliarci da un sonno poco vigile nel quale tutti noi, volenti o nolenti, siamo piombati da quando le campagne sono diventate città, le banconote sono diventate 01010101, i figli degli optional, gli amici un rischio, l'amore un lusso.
Il capitalismo finanziario e il consumismo selvaggio hanno tramutato tutti noi in dollari ambulanti. Non più esseri umani ma polli da spennare, gente da sfruttare, vite da succhiare, cavalli su cui puntare.
In questa gigantesca, e sicuramente goffa, metafora si insinua la serie coreana, che è finita per essere "la serie violenta sui giochi dei bambini" ma che in realtà è soprattutto una spietata e lucida denuncia su quello che la nostra società, seppure riflessa nella piovosa e lontana Korea, è diventata.

I nomi impronunciabili dei protagonisti sono divenuti a noi molto familiari ma solo le loro esistenze hanno permesso universalmente di riconoscere che quelli, in fondo, seppur in maniera estrema, siamo o potremmo essere noi.
Uomini e donne in difficoltà, sepolti dai debiti, condannati a sopravvivere ai quali è offerta la famosa via d'uscita, ai quali è regalato il leggendario biglietto della lotteria.
Nessuno di loro si è sottratto, neppure di fronte alla quasi certezza della morte e, forse, nelle loro medesime condizioni nessuno di noi avrebbe, ugualmente, indietreggiato.
Squid Game, più volte, è sembrato anche un trattato antropologico oltre che sociale.
Il cane mangia cane è diventato un più letterale uomo mangia uomo.
Personaggi variegati, spinti dalle motivazioni più diverse hanno deciso di rischiare la pelle pur di non evadere da quell'incubo chiamato vita dal quale non sarebbero più riuscito a risvegliarsi.
E cosi, anche quando decine di loro sono stati sterminati a colpi di "un, due, tre stella", la quasi maggioranza ha deciso di restare a "giocare". E quando, usciti dal gioco, hanno riflettuto sulla "grande occasione" che per uno di loro si era palesata, tutti sono, compattamente rientrati a giocare.
Quanto può essere drammatica la tua esistenza se scegli, per ben 2 volte, di mettere in gioco la tua stessa vita, lasciare i tuoi cari, avere 1 possibilità su 456 di sopravvivere, vedere decine di persone ammazzate sotto i tuoi occhi?
Si dirà che è solo una fiction. Si dirà che è opera di una mente malata. Si dirà che "guardi troppa televisione".

Io credo, invece, che Squid Game abbia usato la finzione, spingendosi al limite estremo che un uomo potrebbe raggiungere, per raccontarci qualcosa di profondamente vero.
Non farei fatica ad accettare il pensiero che, vagando per le strade delle nostre città, si possano incontrare 456 persone disposte a mettere in gioco la propria vita in cambio della speranza di una ricompensa in denaro enorme, inimmaginabile.
Questo cosa dice di noi come "popolo", come "mondo", come "società"?
Dice, essenzialmente, che siamo spinti dall'istinto di sopravvivenza come milioni di anni fa ma che, a differenza di milioni di anni fa, oggi l'unico comun denominatore di noi tutti è il Dio denaro.
E' per lui che razionalizziamo ogni sorta di delitto. E' per lui che giustifichiamo ogni miserabile comportamento. E' per lui che viviamo. E' per lui che moriamo. Anche quando i fini o le intenzioni paiono essere nobili.
Tra i partecipanti al gioco del calamaro vi erano, e lo abbiamo visto, tante anime pie, tante persone per bene, tanti uomini con una scala valoriale encomiabile.
Anche quelle persone hanno finito per tradire, uccidere, barare, spingersi oltre ogni limite.
Lo hanno fatto facendo leva sulla demenza senile di un uomo anziano cosi come sulla speranza che un amico morisse, lo hanno fatto invocando il nome di Dio cosi come uccidendo a mani nude quando le luci erano spente, lo hanno fatto in tanti modi, inconsci e perfettamente consci, spinti dalla necessità di sopravvivere ma soprattutto dalla volontà e l'ambizione di mettere le mani su quel dannato bottino.

Squid Game è stata una serie molto cruenta, per tante persone troppo cruenta, ma non ho mai avvertito come eccessiva o fuori luogo quella violenza.
Se decidi di articolare il tuo show su un gioco ad eliminazione diretta dove chi perde viene ammazzato, non puoi pensare di farlo senza mettere in conto decine di scene splatter e fiotti di sangue ovunque.
Il mirabile pregio di Squid Game è che, in ogni fase della stagione, ha saputo dare valore e prestigio a quelle morti, almeno da un punto di vista diegetico.
Siamo passati dal soffrire morti di personaggi totalmente sconosciuti nel primo episodio a piangere le morti di personaggi oramai divenuti parte di noi nelle puntate finali.
Spiazzanti le prime, dolorose le ultime.
Abbiamo vissuto, mano a mano, una sorta di esperienza immersiva nella quale speravamo che, qualcuno o qualcosa, venisse a salvarci, a salvare i nostri nuovi amici. Più andavamo avanti ed in meno eravamo. Meno eravamo e più speravamo di poterne uscire. Più le speranze diminuivano più intuivamo che quello, in fondo, non fosse solo un gioco.
Ed un gioco non era, infatti, ma la rappresentazione plastica di quello che siamo diventati, come popolo, come mondo, come società.
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