Siete tra i detrattori delle serie italiane?
Quando si parla di cose serie, di cose vere la buttate in caciara?
Non credete che si possa fare una serie indimenticabile senza farla durare decine di ore?
Siete quelli che quando si parla di sociale, di capitalismo, di ingiustizie, di comunismo, di poveri ed emarginati, vi girate dall'altra parte perchè tanto chi sta parlando è sicuramente un comunista nullafacente col quale meglio non avere nulla a che fare?
Forse è proprio a voi che voglio consigliare una serie italiana della durata di sole 2 ore, scritta da uno di noi, da una "zecca" mai presa abbastanza sul serio, uno che con ironia e talento da tanti anni sta condividendo con noi il suo sguardo sul mondo.
Lo ha fatto, sinora, utilizzando la matita.
Dal Novembre 2021 in tanti lo ricorderemo come autore di una serie tv animata targata Netflix.
E' a voi qualunquisti, perbenisti, fascistoidi veri o presunti, uomini e donne superficiali, anti-migranti. anti-abortisti, anti-scienza, anti-ideologi, anti-culturali che voglio dedicare la mia proiezione di Strappare Lungo i Bordi, la serie tv di Zerocalcare che non riesco a non considerare una delle opere più complete, profonde, divertenti e toccanti degli ultimi anni.
Partiamo dall'inizio anche se forse sapete già tutto.
Zerocalcare è lo pseudonimo di Michele Rech, nome d'arte col quale l'artista romano (anche se romano lo è solo di adozione ma non diteglielo che si incazza) da anni firma i suoi fumetti, fumetti col quale ha superato la soglia del milione di copie vendute nel 2019.
Dopo qualche scorribanda animata indipendente e randomica, spesso riproposta da Propaganda Live di cui è spesso ospite graditissimo, Zerocalcare decide di mettersi in gioco più "seriamente" da quello specifico punto di vista e, grazie a Netflix, comincia a lavorare alla sua prima serie animata il cui titolo è oramai un cult: Strappare Lungo i bordi.
Nella serie Zerocalcare si mette a nudo, con la solita irriverenza e la consueta lucidità, approfittando delle sue stesse esperienze per dirimere un racconto molto più ampio capace di colpire dritto al cuore di ogni cosa, di ogni persona.
Nel farlo ha ben pensato di non essere prolisso, di ridurre tutto all'osso e restituirci un'opera che nulla di superfluo sembra avere e che nulla di scontato sembra raccontare ma che riesce a raccontare quel che vuole raccontare con l'agilità di un diciottenne e la saggezza di un novantenne.
Nel guardare i 6 episodi di Strappare Lungo i bordi ho avuto la costante sensazione che la serie di Zerocalcare potesse essere la nostra Bojack Horseman, la nuova Bojack Horseman.
Per chi, come me, reputa Bojack Horseman un capolavoro assoluto, una delle serie più gagliarde e profonde all time, tale paragone dovrebbe offrire da solo il peso dell'opera italiana di Netflix.
Da Netflix a Netflix, da un cavallo ad un ragazzo della periferia romana il passo è brevissimo e perdonatemi se parto con questo accostamento anzichè parlare da subito dal nostro capolavoro di periferia. Questo parallelo mi serve a rendervi partecipi di quanto grande sia stata l'opera di Zerocalcare e di quanto essa possa essere, nonostante il dialetto romano (e su questo torneremo fra poco), universale e rivolta a tutti, giovani e anziani, italiani e non italiani, cuori di pietra e cuori infranti, idealisti e quelli che in cuor loro dovrebbero essere i realisti.
Bojack era un cavallo (un uomo) smarritosi nella selva oscura della propria esistenza. Un nichilista, autodistruttivo ma che cosi repulsivo verso ogni forma di rapporto e di interazione era diventato forse proprio a causa della sua eccessiva umanità, della sua ipersensibilità.
Sentire il peso del mondo addosso (tanto per riprendere una delle tante citazioni enormemente significative ascoltate durante la visione di Strappare lungo i bordi) significa, dopotutto, essere umani, avere a cuore qualcosa, essere devoti alla propria condizione fragilissima di essere umano. Chi crede che le proprie azioni non abbiano conseguenze, chi crede che il mondo non abbia uno scopo più alto, chi non transita lungo le strade della giustizia sociale, del sogno individuale, del senso di appartenenza, forse quel peso non potrà mai sentirlo. L'annichilimento di Bojack è il risultato di un percorso che ha fatto perdere ogni contatto con la realtà ed ogni speranza nel prossimo. L'aver riconosciuto la sconfitta di sè stesso è come aver conosciuto la sconfitta di tutto il genere umano per Bojack. Zerocalcare passa da qui ma non parte da qui. Il suo percorso è fatto di attese estenuanti che lo collegano soprattutto al Giovanni Drogo del Deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Il protagonista di Strappare lungo i bordi è consapevole del mondo che lo circonda, degli affetti che lo attendono, delle opportunità che potrebbero aspettarlo ma che decide di restare seduto sul divano principale del suo appartamento (ma quanto è stata nerd e clamorosa la gag del divano che richiama Westeros e Game of Thrones???) in modo che la vita scorra lungo il letto di un fiume immaginario che prima o poi affluirà in un fiume più grande e poi in uno più grande ancora, portando il nostro protagonista a destinazione. Senza fatica. Senza dover attingere al libero arbitrio. Senza esporsi. Peccato che il riflesso di una ragazza topo straccerà via quel foglio di carta sul quale Zerocalcare aveva poggiato ogni speranza.
Non c'è nessuna predestinazione ad attenderlo, nessun percorso prestabilito, nessun bordo da ritagliare ma solo la vita a farsi carico di te e te a farsi carico della vita. Sono le scelte, le tante scelte che faremo (e che non faremo) a renderci quelli che siamo e che saremo. Vale per Zerocalcare, valeva per Bojack.
Un uomo ed un cavallo che attraversano un bosco fitto di alberi di ogni tipo, apparentemente immobili, apparentemente uguali ma che nel frattempo producono l'aria che respiriamo o le fiamme degli incendi che divampiamo. Come ne usciremo da quel bosco sarà solo ed esclusivamente a nostro carico e solo quando ne usciremo, voltandoci indietro, ci renderemo conto di quanta strada abbiamo fatto, di quanti alberi abbiamo abbattuto, di quanti ne abbiamo bruciati, di quanti potremo continuare ancora a godere.
Il libero arbitrio, questo bastardo signore che non ci lascia scampo. Come il tempo, altro fottutissimo ingrato che di noi si fa beffe ad ogni giro di orologio.
Zerocalcare è riuscito a condensare in 6 brevissimi episodi, per un girato totale che non arriva alle 2 ore, i dilemmi, le paure, le silenti ansie, gli intenti, i blocchi, i ricordi di una generazione annichilita e schiacciata da un nemico invisibile che potremmo riassumere nella parola capitalismo cosi come nella parola consumismo o anche nell'avvento dei social e la spersonalizzazione di ogni cosa, nella brutalizzazione di ogni discussione. L'insieme di tutti questi nemici hanno reso inerme una generazione di giovani speranze, morte prima ancora di potersi mettere in gioco.
Il formidabile autore ha tratteggiato degnamente e certosinamente il ritratto dell'uomo italiano, del ragazzo italiano, dell'Italia stessa. Lo ha fatto mostrandoci il micromondo intorno al quale un giovane cambia una gomma all'auto cosi o riportandoci alle scuole elementari con zainetti carichi di aspettative fanciullesche, su un divano pieno di oggetti dimenticati e su un treno freddissimo pieno di spine esistenziali.
Non so quale sia lo spezzone che più avete amato, che più vi ha fatto sentire dentro Strappare lungo i bordi. Ce ne sono tanti ma quello a mio avviso più potente è anche uno di quelli meno chiacchierati ed è quando il nostro protagonista ci racconta la ricerca del suo posto nel mondo, la ricerca di un posto di lavoro che permetta a mammà di poter dire alle amiche "mio figlio sta a mandà curriculum". Quella ripetitiva azione, quel task cosi privo di trasporto emotivo è uno dei tanti task ripetitivi, quasi robotici, che ognuno di noi ha dovuto fare per sentirsi parte del grande carrozzone della vita adulta. Lavori che mai avremmo voluto fare, che mai ci saremmo sognati di cercare, colloqui improbabili, destinazioni indesiderate che pure abbiamo provato a raggiungere col solo obiettivo di pagare le bollette e di zittire chi ci stava intorno offrendo loro in sacrificio i nostri stessi sogni.
Quella privazione del sogno, dell'obiettivo a lungo termine mi è sembrata una delle chiavi più importanti per leggere il sottile, costante e mai davvero abbastanza urlato disagio di questa disastrata generazione. Una generazione fallita ancor prima di nascere, nata per consumare, per produrre, per fare, non disegnata per credere in qualcosa, per vivere per qualcosa, per sognare, per arginare le iniquità, per sconfiggere le ingiustizie. Siamo la generazione delle vittime di un sistema che alimentiamo ogni giorno a colpi di account, di tweet, di click su amazon, di nuovi tagli di capelli, di nuovi capi d'abbigliamento, di nuovi smartphone.
Vittime e carnefici di noi stessi. Il tempo passa, il tempo è passato e quella carta è stata sgualcita dalle nostre stesse mani.
Cosa lasceremo in dote al prossimo? Quale sarà la nostra eredità? Quale sarà la traccia che lasceremo sulla madre Terra negli anni in cui la calpesteremo?
Zerocalcare ci restituisce un mondo arido, aridissimo dove vi è stata una vera apocalisse sociale, un apocalisse delle emozioni.
Strabiliante il passaggio che l'autore racconta dal mondo degli sms e delle chat su msn al mondo delle spunte blu e dei mi piace. Un mondo dove tutto è noto, tutto è detto, tutto è controllato e non c'è più spazio per la trepidante attesa di un messaggio della propria amata o per il mistero dietro una scelta, una strategia, una discussione con un amico, uno sconosciuto, una persona a cui vuoi bene.
La grandezza di Strappare lungo i bordi sta nell'aver saputo raccontare in pochissimo tempo le piccole cose e di averne tratto dei messaggi molto ampi, molto molto universali.
La coscienza impersonata dall'armadillo (grazie Valerio Mastandrea per aver reso questo personaggio ancora più unico) ci ha parlato, spesso permettendoci sonorissime risate, apertamente di noi, ha disvelato traumi che avremmo potuto evitare a noi stessi e ai nostri cari. Il Secco ci ha mostrato come siamo o saremmo potuti diventare, sconfitti e piegati da un mondo che ci vuole costringere ad un sonno perpetuo ed un'accettazione, una resa incondizionata rispetto ai nostri nemici nascosti. Sarah è stata un grillo parlante sboccato e diretto, lo specchio di una generazione che ci ha provato e provandoci ha fallito e fallendo forse si è arresa a questo gioco sporchissimo. Alice è una Sarah che ha preferito, ad un certo punto, di smettere di giocare, di arrendersi ed in un certo modo mostrandoci l'unica strada per la vittoria contro quei nemici silenti di cui parlavamo prima. Non offrire a loro la nostra carne, la nostra mente, la nostra vivacità, il nostro talento, la nostra vitalità è l'unico modo per non alimentare quel carrozzone in cui sono le vittime a portare l'acqua con le orecchie ai mercanti di uomini, ai mercanti di vite, ai mercanti di sogni.
Zerocalcare è stato il mattatore di questa giostra divertentissima, furiosamente spassosa ma al tempo stesso cosi lancinante, cosi efficace nel tratteggiare quel dolore esistenziale che tutti proviamo ma che in pochi riescono ad analizzare, capire, metabolizzare davvero.
Zerocalcare, qualora non ve ne foste accorti, in 110 minuti ci ha ricordato Falcone e Borsellino, la storia d'Italia, la storia del mondo, tra idoli e falsi dei, tra miti e leggende, tra un G8 sanguinolento a Genova ed una coppia di torri che crollavano sotto gli occhi del mondo.
L'autore ci ha mostrato chi siamo e siamo stati negli ultimi 20 anni, restituendoci un ritratto che non avevamo mai chiesto e a cui forse non avevamo mai pensato.
Ci ha ingannato attraverso un coloratissimo cartone animato, ci ha depistato con le sue sagaci ed esilaranti battute, ci ha fatto abbassare la guardia col suo romanaccio verace e povero e quando eravamo troppo divertiti, sorridenti e indifesi ci ha colpiti con una serie di colpi bassi che ci hanno messo k.o.
Piccola nota sull'utilizzo del dialetto romano nella serie e la polemica assurda che ne è seguita secondo cui la serie andrebbe boicottata perchè non fruibile da tutti: andate a lavorare e prima di andare a lavorare andate a scuola. Non siete degni di dare forma ad alcuna critica poichè, beoti che non siete altro, non avete nessuno spirito critico a cui attingere. Denigrare una serie perchè utilizza una forma dialettale (tra l'altro comprensibilissima) anzichè la lingua di Dante è qualcosa che da sola qualifica chi quella polemica la mette in campo.
Pensate a Gomorra recitata in italiano o a gran parte delle performance di Alberto Sordi, Carlo Verdone, Eduardo De Filippo messe in campo con un italiano perfetto. O pensate a Napule è di Pino Daniele "tradotta" ed eseguita in perfetta sintonia con l'Accademia della Crusca. Se questo è il livello della polemica non fatico ad immaginare le vite ed il grado culturale di chi quella polemica la mette in atto.
Chiusa parentesi.
Sono solito fare un bilancio alla fine dei miei post, un bilancio che possa indurvi a vedere o non vedere la serie di cui sto parlando.
In questo caso non me la sento.
Macchierei questa recensione con un pollice in su che mi sembra ridondante rispetto a quanto già detto in questa sede da me ed in altre sedi da decine di persone, appassionati, esperti, critici, giornalisti di professioni.
Con Strappare Lungo i Bordi siamo di fronte a qualcosa di epocale per noi italiani. Zerocalcare ha alzato il livello in maniera cosi importante da farci dubitare che si possa, in futuro, riuscire ad eguagliarlo.
Sono tante le cose che l'autore di Rebibbia ci ha insegnato.
Ci ha insegnato che si può dire molto senza dilungarsi troppo.
Ci ha mostrato come il dramma e la commedia possano mescolarsi in maniera magistrale.
Ci ha regalato momenti di incredibile gioia e divertimento.
Ci ha devastato con momenti di asfissiante e claustrofobica tristezza.
Ci ha messi al tappeto con momenti di dolcissima e luccicante malinconia.
Ci ha ricordato cosa sia la nostalgia, quella sana.
Ci ha portati a spasso con la sua amicizia e le sue amicizie.
Ci ha disegnati in tutta la nostra piattezza.
Ci ha esaltati nelle nostre fragilità.
Ci ha ha strappato lungo i bordi di un'esistenza che troppo spesso abbiamo disegnato su carta dimenticandoci che troppo a lungo ci siamo illusi di poter trovare fuori quello che dovremmo cercare dentro.
E adesso annamose a piglià er gelato.
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