Dite che ha colpito ancora?
Siete stanchi di sentire il suo nome?
Non ancora avete capito come mai ha tutto questo successo?
Ryan Murphy ha il difetto di piacere tanto o piacere pochissimo, di essere amato follemente o di essere bistrattato, di essere un nome "amico" o di essere uno sconosciuto.
Tutto è sfumato quando si parla di lui.
Tutto assume connotati particolari, connotati che per altri non varrebbero mai.
Parliamo di un istrione, di un giocoliere delle emozioni, di un'artista iper-prolifico che da anni allarga gli orizzonti di noi spettatori con serie tv di altissima qualità ma soprattutto grande intensità, serie che ci offrono da sempre uno spaccato del mondo LGBTQ da un lato e dell'attualità dall'altro, con tante sperimentazioni e voli pindarici correlati.
Della seconda categoria, quella legata all'attualità, fa parte uno dei prodotti più riconosciuti dell'autore, quell'American Crime Story che con il suo folgorante esordio aveva strabiliato il mondo.
Era arrivato il momento che qualcuno raccontasse determinati eventi di cronaca, eventi famosissimi ed emotivamente condivisi, grandi traumi collettivi che dovevano in qualche modo trovare qualcuno che li raccontasse.
American Crime Story è riuscita a colmare quell'enorme buco che la serialità contemporanea aveva tra le sue intercapedini.
Ryan Murphy aveva creato una cosa se vogliamo semplice ma geniale.
Emulando se stesso e quello che aveva fatto con American Horror Story, aveva ideato una nuova serie antologica che stavolta ci portasse nel cuore di eventi collettivi traumatici e molto celebri che, però, mai avevano davvero trovato qualcuno capace di romanzarli e raccontarli a 360°.
La prima stagione (ancora oggi la più riuscita e acclamata) aveva fatto luce sul celeberimmo caso O.J.Simpson. Un cast di prim ordine, capitanato dall'inseparabile Sarah Paulson e dal redivivo e bravissimo Cuba Gooding Jr, ed una chiarezza di intenti spaventosa ne avevano certificato il successo.
La seconda annata raccontò la perversa escalation psicologica che portò un incauto ed imprevedibile assassino a commettere l'omicidio di Gianni Versace a Miami.
Ancora un grande cast. Ancora un esperimento molto riuscito.
Il terzo ciclo di episodi ha alzato ulteriormente la posta, addentrandosi niente di meno che nello studio ovale.
Ryan Murphy ed i suoi collaboratori hanno puntato i fari su Bill Clinton e su quello scandalo globale che, in qualche modo, sancì l'inizio della percezione invasiva della cosa pubblica intesa come insieme di vite private e private debolezze (e crimini).
Bill Clinton, amato ed idolatrato da moltissimi (soprattutto dalle donne), crollò nei consensi e perse il suo scettro proprio a causa di una sua debolezza, di una sua fragilità e, come la serie ben ci racconta, della sua abitudine a delinquere, intesa come assuefazione ad adottare comportamenti irrispettosi, predominanti ed in taluni casi abusivi nei confronti di giovani donne.
Monica Legwinsky è stata la punta di un iceberg che aveva iniziato a crescere molti anni prima della salita al potere di Bill Clinton.
Per noi italiani l'errore di Clinton è stato unico e solo.
Un uomo di potere che ha abusato di quel potere per ammaliare giovani donne.
Era amore? Erano molestie? Erano abusi psicologici?
Queste sono le domande più "umane" che hanno invaso il dibattito pubblico.
Era un crimine? Era rilevante dal punto di vista penale? Si trattava di un abuso di ufficio?
Queste erano le domande più "giuridiche" che risiedevano dietro quell'enorme scandalo.
Quello che era emerso dall'affaire Lewinsky rappresentava uno schema? Bill Clinton è sempre stato un fedifrago? Quanto ne sapeva Hillary?
Queste, invece, erano le domande meramente "gossippare" che si ponevano i comuni cittadini/spettatori.
Il comportamento di Clinton metteva a rischio la sicurezza nazionale?
Quelle spiacevoli situazioni quanto stavano danneggiando l'istituzione che rappresentava? Poteva un uomo del genere rappresentare la più alta carica della nazione più potente al mondo?
Queste, in soldoni, erano le domande "politiche" messe sul tavolo.
American Crime Story: Impeachment ha raccolto tutte queste domande, intrecciato questi 4 filoni "narrativi" provando a darci una risposta mai banale e mai scontata.
La grandezza di questa operazione antologica di Ryan Murphy sta soprattutto in questo, nella capacità di raccogliere i cocci e comporre un puzzle nuovo rispetto a temi che credevamo di conoscere in maniera totale e approfondita.
Anche in questo caso, come per OJ Simpson e come per Versace, Murphy ha affondato la lama nelle carni restituendoci un ritratto ancor meno edificante di quanto potessimo immaginare, di quanto avevamo immaginato in passato.
Bill Clinton, nonostante tutto, ci era sempre stato presentato come un politico talmente brillante, talmente unico che avremmo potuto perdonargli anche una piccola "scappatella".
Quello che resta, in maniera fortissima, dopo la visione di American Crime Story: impeachment, è che l'affaire Monica Lewinsky ha rappresentato solo la punta dell'iceberg di uno schema predatorio che Clinton ha perpretrato a lungo, per decenni.
Sono state tante le donne ad essere state avvicinate da lui.
Alcune lecitamente ed in un consensuale scambio di amorosi sensi, seppur fedifrago per lui.
Altre con delle molestie verbali o abusi di potere atti a "conquistare" la preda di turno senza tuttavia mai davvero sporcarsi le mani.
Altre, ed è la cosa più sconvolgente, con degli atteggiamenti ai limiti (se non dentro i limiti) dello stupro.
Impeachment ci ha restituito, dunque, un'immagine poco edificante, quasi criminale di un uomo che ha fatto la storia. La cosa ancora più sconvolgente è stata quella di conoscere come Clinton fosse stato un presidente amatissimo dalle donne. Nei sondaggi, infatti, era proprio l'elettorato femminile a trainarlo. Murphy è stato ancora una volta bravissimo a parlarci del contesto, della realtà di quegli anni, prendendo come pretesto quello del racconto sul rapporto Monica-Bill.
Se Clinton ha vissuto una vita cosi spericolata dal punto di vista sessuale, se è stato cosi protetto e salvaguardato da amici, nemici, società e istituzioni, è stato anche perchè in quegli anni vigeva ancora un antico sistema patriarcale che vedeva nell'uomo colui che tutto poteva e nella donna colei che tutto doveva ingoiare (ho usato questo termine, se volete anche volgarmente, in maniera del tutto voluto ahimè). La reticenza a testimoniare da parte di tutte le vittime è figlia proprio di quel contesto. Ryan Murphy lo denuda, cosi come aveva denudato altre nefandezze della società americana quando ci aveva parlato di OJ o di Versace.
Ad affiancarsi a questo aspetto libidinoso vi è stato un altro aspetto che, forse, noi europei poco conosciamo, ovvero le commistioni con il potere di tutta la famiglia Clinton e di quanto essi fossero invischiati in faccende a dir poco criminali o sospetti. Finanziamenti, sovvenzioni, appoggi elettorali, fondazioni. Tantissime erano le realtà in cui i Clinton avevano messo le mani. Tantissime erano le situazioni poco chiare ed ai limiti del legale che li vedevano coinvolti, quasi come se, ad un certo punto, fossimo finiti in una puntata di House of Cards e quelli non fossero Hillary e Bill Clinton ma Claire e Frank Underwood.
In definitiva, dunque, Murphy aggiunge un altro trofeo alla sua bacheca, confezionando l'ennesimo gioiellino, meno riuscito dei 2 precedenti, con un ritmo più sonnolento, con una vervè meno affascinante ma ancora una volta con quel tocco di lucida analisi e spietata narrazione che lo contraddistingue da sempre.
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