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Black Mirror 6x02: Loch Henry - Ossessioni macabre per storie vere

Inesorabile, come uno sbadiglio in ufficio il lunedì mattina, la settimana Black Mirror continua.

Altro che Fashion Week o Design Week!

Dopo aver lanciato l'operazione e dopo aver parlato del primo episodio della sesta stagione, intitolato Joan is Awful eccoci qui a parlare di Loch Henry, 6x02 della serie ideata da Charlie Brooker.

Premetto quanto premesso in occasione del post precedente.

Non ho ancora visto il terzo, quarto e quinto episodio, motivo per cui, questa disamina sarà quanto mai specifica sulla puntata in questione e non sarà "sporcata" dal giudizio complessivo su quella che sembra essere stata una stagione moooooolto controversa.

Molti amici mi hanno avvisato che questa sesta annata sembrava tutto fuorchè Black Mirror. Se l'episodio precedente, con protagoniste Annie Murphy e Salma Hayek, smentiva, a mio avviso, questa teoria, Loch Henry sembra, invece, confermarla.

Anche se...

Un'immagine da Loch Henry 6x02 Black Mirror 6

Loch Henry si inserisce in un genere horror alla Blair Witch Project (non a caso citato durante la puntata). A prima vista, non ha nulla di Black Mirror. Non sembra mai danzare su quel sottile filo rosso che da 12 anni determina l'andamento logico della serie antologica più celebre di ogni epoca. Il rapporto con la tecnologia, i pericoli da essi derivanti, futuri più o meno possibili, verità e realtà alternative, la società che cambia e i motivi per cui essa cambia visti sempre da un punto di vista molto distopico, originale, alternativo.

Loch Henry non ha nulla di originale e non ha nulla di distopico.

La storia è intrigante ma classica. Il genere è abbastanza esplicito. Persino la location non assume mai un contorno fuori dal comune. I personaggi sono al limite dello stereotipo.

Un episodio di Black Mirror, un vero episodio di Black Mirror, non può scivolare in questa semplicità a tratti banale.

Loch Henry, tuttavia, sembra essere cosi standardizzato a ragion veduta. L'obiettivo è quello di destrutturare e inquadrare meglio quello che è divenuto uno dei filoni più cavalcati degli ultimi anni dalle varie piattaforme ovvero quello documentaristico.

Da un lustro, oramai, siamo sommersi di docuserie che scavano in storie vere efferate, con protagonisti sadici, esplorando le vite di familiari, potenziali vittime, persone coinvolte più o meno tangenzialmente da quell'omicidio, da quella strage, da quel mistero. In Italia, sulla stessa Netflix abbiamo avuto 2 esempi brillanti in SanPa e Vatican Girl, docuserie che esploravano l'accaduto (e il non accaduto), il detto (ed il non detto) di uno dei fenomeni più discussi della storia recente italiana (Muccioli e la comunità di San Patrignano) e di uno dei più misteriosi casi dell'ultimo mezzo secolo (la sparizione della giovane Manuela Orlandi). Se ci dirigiamo oltre oceano, si moltiplicano le docuserie, i documentari, le vere e proprie serie tv tratte da sanguinose vicende legate spesso a serial killer o presunti tali. Basti pensare a Dahmer o a tutto il filone legato a Jeffrey Epstein.

Loch Henry sembra volerci ricordare che, in fondo, la morbosità con cui questi casi vengono raccontati, sviscerandone ogni dettaglio, interrogando ogni persona coinvolta, proiettando sul piccolo schermo la psiche di personaggi contorti, alimentando l'ossessione di molti, generando una più complessa e sofisticata cultura dell'orrore e del dolore, affonda sempre le radici nell'interesse economico delle oramai gigantesche multinazionali dello streaming. Questi colossi, proprio come la fantomatica Streamberry vista nei primi 2 episodi di questa stagione, hanno a cuore lo scoop, la grande inchiesta, la profonda verità solo e soltanto se essa porterà nuovi follower, nuovi spettatori. La bellezza, e la "blackmirrorosità" di un episodio come Loch Henry sta proprio nel ricordarci come, il rapporto fra noi e questo tipo di operazioni mediatiche, finisca per impoverire l'animo di ciascuno di noi e di distruggere le vite (come quelle dei protagonisti) delle persone coinvolte. Stordente il finale in cui assistiamo alla celebrazione del capolavoro derivante dagli eventi mostruosi accaduti in città, con tanto di rinascita della città stessa e di vittoria di un Bafta. Quel che resta, però, è anche una scia di sangue ulteriore, la macchia indelebile di una città che sarà per sempre ricordata come "la città del serial killer PincoPallo", dove le maschere utilizzate per massacrare degli innocenti verranno, d'ora in poi, vendute nei negozi come souvenir da regalare o vendere ai tanti turisti, attratti fatalmente da un luogo, da tempo abbandonato, ed ora oggetto di tour e visite guidate.

A restare è un'anima spezzata, come quella del protagonista, costretto a brindare, triste, depresso, distrutto, al ricordo di quella che per lui, fino a quel momento, era stata una brava madre, una donna da custodire e coccolare, priva di un marito morto eroicamente. Quell'inchiesta, quel documentario, ha fatto riemergere una verità che cambierà per sempre il corso di una vita ed il corso della storia di un'intera cittadina.

Da questo punto di vista, Loch Henry mi è sembrata una vera e ambiziosa puntata di Black Mirror, efficace nel tratteggiare cose evidenti ma che non vediamo o che, comunque, scegliamo di ignorare. Il successo ed il denaro sono cose materiali che desideriamo ad ogni costo. Lo desiderava Pia quando si è tuffata anima e corpo nel progetto. Lo desiderava Streamberry quando ha chiesto di dare un taglio più personale ad una storia già di per sè intrigante e abbastanza macabra. Lo desideravano gli abitanti ed i commercianti del luogo di fronte alla prospettiva di veder ripopolati i loro bar, i loro pub, i loro ristoranti.

Costi quel che costi.


Voto Episodio: 7,5

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