Avete mai provato a recuperare i grandi classici della serialità?
Vi siete mai domandati quali siano?
Vi siete mai chiesti quale sia considerato il finale di serie (series finale) più bello di sempre?
Ogni classifica è soggettiva, questo è chiaro, ma quando un finale è quasi unanimemente riconosciuto come migliore di tutti i tempi allora forse è giusto pensare che lo sia per davvero.
Sono sicuro che in molti stiano pensando al memorabile "Felina" di Breaking Bad, altri al gattopardesco finale di "The Wire", altri ancora allo stupendo finale di "The Americans".
Vi sbagliate tutti.
Il finale più bello della storia della tv è quello di "Six Feet Under", la sempre troppo sottovalutata serie di HBO.
In onda dal 2001 al 2005 per 5 stagioni essa si concluse, il 21 agosto 2005, commuovendo ogni singolo spettatore sulle note di "Breathe me" di Sia.
Scrivere un series finale non deve essere facile.
Non solo si è chiamati a chiudere tutte le storyline, cercando di non lasciare nulla in sospeso, ma si è chiamati anche a lasciare una sorta di testamento per i posteri. Laddove un pilot rappresenta un manifesto di intenti, un finale rappresenta la legacy, l'eredità di una serie.
E se questo è vero, allora, Six Feet Under ha lasciato a tutti noi un tesoro inestimabile.
Se il pilot traccia una linea oltre la quale definirà se stessa, il finale ci dice cosa quella serie ha voluto raccontare, l'identità della serie stessa ed il messaggio che essa ha voluto trasmettere in tutti gli anni di permanenza sugli schermi.
La serie di Alan Ball ci è riuscita. E' riuscita a trasmetterci qualcosa, a condensare nell'ultima puntata tutto quello che essa aveva sempre cercato di essere. E lo ha fatto con la solita classe, il solito humour nero e con 7 minuti di delicata essenza che da soli valgono il prezzo del biglietto.
Chi ha avuto modo di innamorarsi della serie sulla famiglia Fischer, avrà rivisto decine di volte "Everyone's waiting" o perlomeno avrà rivisto decine di volte quei minuti finali. State certi che ad ogni visione vi commuoverete, piangerete, emozionerete.
Finirete per guardarvi allo specchio e chiedervi: "perché mi sono commosso?".
La risposta è perché Six Feet Under è riuscita a rispondere probabilmente alla domanda più difficile di tutti: cos'è la vita.
Lo ha fatto senza fronzoli, sbattendovi in faccia la vita in tutta la sua unicità e spietata finitezza.
Per 5 stagioni ci ha accompagnati, di funerale in funerale, di morte in morte, alla scoperta della vita, della complessità dell'essere umano come individuo e dell'umanità come unione di più individui in cerca di uno scopo comune, di affetto, di amore, di gioia.
Uno scopo impossibile eppure semplicissimo come ci avevano ricordato nel finale della quarta stagione. Siamo cosi persi a cercare un equilibrio in cose complicatissime e fuori dal nostro controllo che ci dimentichiamo di professare e celebrare la semplicità dell'amore, di consolidare e vivere i rapporti con gli altri, rapporti che ci definiscono.
L'odio per il diverso, il rancore verso il prossimo, la non accettazione di noi stessi, il passeggero oscuro dentro di noi, l'arroganza, la superbia, l'invidia che ci consumano sono tratti distintivi dell'essere umano che spesso rischiano di far scomparire il buono che c'è in noi e di conseguenza il buono che c'è negli altri.
Six Feet Under si serve di una famiglia di becchini per mostrare tutto questo. Uomini e donne cosi tanto abituati alla morte da dimenticarsi della vita.
Ma la vita è una, una soltanto e insita in se stessa ha una data di scadenza indistruttibile. Non la conosciamo ma sappiamo che prima o poi arriverà.
Siamo cosi presuntuosi e miopi da pensare che la fine non arriverà mai, non riguarderà mai noi in prima persona o chi è accanto a noi. La morte, purtroppo, ci colpirà tutti, senza distinzione. La grandezza del finale di Six Feet Under è tutta li. Siamo tutti destinati a morire. Circondati dall'affetto dei nostri cari o soli come piccole pietre consumate nel deserto.
Felici o sconsolati.
In un giorno qualunque, del tutto improvvisamente, o divorati a poco a poco da una malattia.
Giovani e nel pieno delle forze oppure vecchi e senza più energie.
I nostri occhi si chiuderanno.
Lasceremo tutto o niente a seconda di chi siamo stati in vita.
Resteranno solo i ricordi e persone che potranno ricordarsi di noi.
Noi scompariremo.
E allora perché non provare a vivere, a vivere davvero, prima che tutto ciò finisca?
In fondo tutti aspettano (Everyone's waiting), aspettano un amore, una svolta, un giorno memorabile, una vita piena di soddisfazioni.
La morte non aspetta.
Il tempo è inesorabile.
Il countdown è partito.
La nostra corsa è in pieno atto e finirà come e quando dovrà finire, mentre noi decideremo il ritmo e la grazia dei nostri passi.
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