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Ripley: Ora Netflix ha il suo Caravaggio

E pensare che se non avessi iniziato a leggere opinioni entusiaste di gente fidata, blog con firme eccellenti sbattere in prima pagina il mostruoso (in senso positivo) Ripley di Steven Zaillian, probabilmente lo avrei snobbato o visto in uno dei sempre più rari ritagli di tempo delle mie giornate.

E invece oggi sono qui, dinanzi a voi, a dirvi non solo che Ripley è stato promosso a pieni voti ma che ha rappresentato, per il sottoscritto, una delle più belle e rare esperienze seriali della mia vita.

Lasciando sempre una finestra aperta a qualche sorpresina (le vie del Signore delle serie tv sono pur sempre infinite) mi presento oggi a voi confessandovi che Ripley è balzato in testa alla classifica LIVE 2024 e credo, fermamente, che nessuno show quest'anno riuscirà a scucire dal suo petto lo stendardo della prima della classe.

La miniserie Netflix, prodotta da Showtime, è inarrivabile.

Indescrivibile.

Sontuosa.

Unica.

Arduo sarebbe provare a convincermi del contrario tanto quando difficile sarà spiegarvi il motivo di cotanta grandezza.

Ci proviamo ugualmente, come piace fare a me?

Vorrei partire da un eloquente dato che vorrei condividere con tutti gli amanti del cinema in ogni sua forma. Ripley è un omaggio al cinema tutto, al suo linguaggio, alla poesia che esso inneggia. La cura nei dettagli è maniacale e mi ha ricordato il Gilligan di Breaking Bad e Better Call Saul. Il bianco e nero è una dichiarazione di intenti che da sola ci dice almeno un paio di cose. La prima è il richiamo a Caravaggio, alla sua storia, alla sua arte e all'accostamento che Zaillian si concede fra il pittore ed il suo Tom Ripley. La seconda è un richiamo a quel cinema d'altri tempi in cui la forma era anche sostanza e nessun effetto visivo mai sarebbe servito per migliorare il significato che l'autore desiderava comunicare coi suoi film.

Di cose da dire ce ne sarebbero e tante.

Mi è difficile anche decidere da dove partire.

Visto che l'ho già menzionata, parliamo di quella maniacale cura nei dettagli.

Quante volte la regia ha indugiato su quel posacenere? Quante volte ci ha suggerito quello che stava per accadere? Quante volte un'inquadratura apparentemente priva di significato serviva a comunicarci qualcosa. Il gatto fermo ai piedi delle scale. L'anello di Dickie. Il quadro al muro della casa romana. Ogni fotogramma era importante e anche quando finiva per non esserlo aveva assunto, anche solo per un attimo, un'importanza capitale nella costruzione di una tensione quasi sempre Hitchcockiana.

Dalla cura dei dettagli alla forma con la quale quella tensione veniva costruita. Anche quando nulla accadeva e gli istinti di Tom venivano messi a tacere da qualche fortuito evento, la sequenza delle azioni che venivano mostrate ci inducevano a temere il peggio. Chi non ha temuto più volte per la vita di Marge? Chi non ha pensato che prima o poi dovesse toccare a Silvana? Chi non ha immaginato il volto tumefatto di Ravini al primo indizio pesante sulla colpevolezza di Tom? Alcune cose finivano per accadere, altre no. La tensione restava inalterata. Sempre. E a livelli marziani.

Qualche giorno fa guardavo l'eccellente film della Cortellesi che sta riscuotendo l'enorme successo che merita. Anche in "C'è ancora domani" il bianco e nero è perenne e anche lì funzionale. Eppure, la pulizia del bianco e nero di Zaillian, la sua luce, le sue ombre, sembrano provenire da un altro pianeta. Nonostante gli 8 episodi siano girati in total black & white, non avete avuto anche voi la sensazione di aver assistito ad un racconto incastonato in un mondo variopinto?

L'affannarsi dei personaggi sulle scale, la minacciosità degli sguardi di Tom Ripley, la barca ferma in una splendida caletta della costiera amalfitana, le strade ciottolose di Atrani, Roma mostrata come un museo a cielo aperto, la plumbea Venezia, la chiassosa Palermo. Ogni luogo, ogni personaggio sembravano possedere mille colori proprio come la Napule della canzone di Pino Daniele.

Se la regia è stata degna di un corso all'Università, capitolo a parte meriterebbe il montaggio. Le sequenze alternate che spesso accompagnavano il Tom Ripley del presente a quello onirico o all'ideale caravaggesco mostrato nell'ultimo episodio, sono state sempre impeccabili foriere di messaggi sempre molto criptici ma mai fini a se stessi. Tom e Dickie hanno vissuto in quelle alternanze una ulteriore vita, parallela nei fatti e nella forma dimostrando, ancora una volta che in Ripley la forma è essa stessa sostanza.

Non saremmo qui a magnificare la serie Netflix se il volto in copertina fosse stato diverso da quello di un mastodontico, glaciale ed enigmatico Andrew Scott. L'attore britannico è sempre stato sul filo della notorietà assoluta, un po' come avvenuto per Cillian Murphy prima di Oppenheimer. Iconico prete nell'altrettanto iconico Fleabag. villain psicotico e calcolatore in Sherlock, nel cast di Band of Brothers e tanti altri ruoli secondari in produzioni importanti come 1917 e Salvate il soldato Ryan, Andrew Scott pare essere stato protagonista del ruolo che fa una carriera, della perfomance della vita. Il suo Tom Ripley è tutto quello che non sapevamo di volere su un personaggio cosi maledettamente intrigante e complesso. Matt Damon (non certo Checco Zalone) aveva reso benissimo alcune sfaccettature del personaggio. Andrew Scott le ha sapute mettere in campo tutte. Il suo Ripley è un vero psicopatico a cui affideresti volentieri le chiavi di casa. Quella sua affidabilità, però, non è mai marcata tanto è vero che sono molti a non fidarsi inizialmente di lui, da Miles a Marge passando per Scavini e i tanti host dei vari alberghi un cui risiederà nel suo tour italico. La sua è un'affidabilità che fa rima anche con disagio, un disagio che porta spesso ad interrogarsi, un interrogarsi che porta spesso a pensare che in fondo su Tom ci sbagliavamo tutti perchè Tom, l'amico di Bob Delancey, il contabile newyorchese, il nipote della povera zia Dottie, è, un bravo ragazzo.

Se al mondo esterno Ripley appare come un viandante poco alla ricerca della mondanità e del frastuono della Dolce Vita ma, tutto sommato, tranquillo è del Tom intimo che Zaillian fa un quadro estasiante dal punto di vista della profondità di un personaggio tanto complesso nelle sue azioni quanto monodimensionale nelle sue emozioni. Andrew Scott restituisce quella doppiezza all'esterno senza mai darci motivo di pensare che egli, nel suo intimo, conosca cosa significhi l'amore, il desiderio, la compassione, il rimorso. Thomas è una scatola vuota che necessità di nuovi passaporti, nuove identità, nuove vite per essere riempita. E cosa resta della scatola iniziale quando la riempi di oggetti e pezzi di vita altrui? Una scatola nuova, una vita nuova, una scatola rubata, una vita rubata.

Proprio come quelle che Tom ruba cercando di sfamare il suo arido ego.

Prima di chiudere vorrei lasciarmi andare ad un'ondata di patriottismo, non quello becero del made in Italy firmato Urso, Lollobrigida e Meloni (anche essi scatole vuote senza contenuti con cui riempire i propri programmi, le proprie vite politiche) ma quello che proviene da un non italiano come Steven Zaillian. Le sue ricostruzioni storiche sono accuratissime. Dai vecchietti in coppola che giocano a briscola al centro di Atrani, ai loghi delle poste e delle banche, passando per i vicoli e i bar, gli hotel e i porti. Tutto quello che vediamo è autentico e ci proietta mezzo secolo indietro senza che ci si accorga di essere dentro un racconto di finzione.

Ad aggiungere autenticità ci hanno pensato i vari Margherita Buy e Maurizio Lombardi (giusto per citare le 2 comparse più rilevanti) con quest'ultimo autore di una prova convincentissima tutta taccuini, "Mailes" e fiuto investigativo.

Come se non bastasse, ci hanno pensato Andrew Scott, Dakota Fanning e Johnny Flynn a farci respirare Italia con la loro passione per i nostri luoghi ed i loro "Grazie", "Scusi" e altro ancora.

Ci sarebbe ancora molto altro da dire ma credo di aver reso l'idea di quanto Ripley sia importante da vedere e da annotare nei propri diari personali.

Non uso spesso il termine capolavoro ma credo, tuttavia, che di tanto in tanto vada utilizzato.

Succession, il prima citato Better Call Saul, ad esempio, sono 2 assoluti capolavori della serialità degli ultimi anni.

Dal 4 aprile 2024, a quella shortlist aggiungeteci anche Ripley.


 


Sceneggiatura: 9

Regia: 10

Cast: 9

Genere: Drama

Complessità: 8,5

Originalità: 10

Autorialità: 10 e lode

Intensità/coinvolgimento emotivo: 9

Profondità: 8,5

Contenuti Violenti/Sessuali: 7,5

Intrattenimento: 6,5

Opening: 2

Soundtrack: 5

Produzione: Netflix

Anno di uscita: 2024

Stagione di riferimento: 1

Voto complessivo: 10

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