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The Good Mothers trasuda sofferenza, dramma e coraggio da ogni scena

Mentre gli ammmerrrigggani si stracciano le vesti per The Power, nuova serie Amazon Prime Video recensita qualche giorno fa, urlando al capolavoro femminista, ad una serie determinata a mettere le donne al centro del racconto, gli italiani fanno, ancora una volta, di meglio, molto di meglio.

Con The Good Mothers mettiamo a segno l'ennesimo colpaccio seriale, grazie ad uno show che dirà la sua nel 2023 e lascerà un segno importante quando scriveremo o leggeremo articoli, o libri, sull'evoluzione delle produzioni televisive in Italia.

Non a caso, la serie Disney Plus, nata come adattamento dell'omonimo romanzo di Alex Perry, è stata la prima serie nella storia a vincere il Berlinale Series Award.

Non un caso ma non necessariamente il segnale inequivocabile che questo sia uno show imperdibile, semmai quel segno lo trovate oggi con questo articolo che, come avrete, di certo, capito, sarà ricco di complimenti vivissimi per una serie che parla di donne, di n'drangheta, di lotta, di coraggio, di soprusi, di violenza e di rinascita.

Già la vedo svettare a fine 2023 nello speciale di Nella Mente di un SerialFiller nella rubrica dedicata alle migliori serie tv italiane dell'anno, e non solo.

Si comincia con una scena che sembra essere uscita dritta da Gomorra.

Paesaggi rurali, uomini "d'onore", un drone segue delle auto in strade deserte, panoramiche sempre più ampie accompagnano il breve viaggio di corriere della droga e della morte.

"Sarà l'ennesima serie che proverà a sostituire Gomorra?" ho pensato.

E invece no.

The Good Mothers, sin dal primo episodio, dimostra di essere tutt'altra cosa, unica, nel suo genere, come lo era stata Gomorra prima. Due grandi serie, di grandi interpretazioni di una realtà criminale che, dal libro di Saviano in poi, è stata raccontata per la sua tragicità, per l'ineluttabilità del destino di chi vive e di chi subisce le dinamiche della camorra, della mafia e, come in questo caso, delle ndrine.

A supportare un racconto potentissimo vi sono 2 registi che mostrano una gran classe ed una grande padronanza della lingua cinematografica.

Julian Jarrold si era già messo in luce in The Crown, serie nota a tutti per la sua pulizia e perfezione tecnica. Elisa Amoruso, invece, aveva evidenziato il suo tocco nella docuserie su Chiara Ferragni, dal titolo Unposted. Sono loro 2 a guidarci in un sentiero oscurissimo dove gli efferati crimini della n'drangheta lasciano spazio, momentaneamente, al backstage di un mondo, di una società, di una cultura, retrogada come poche altre, verticalmente patriarcale, violenta, liberticida e crudele oltre ogni misura.

Il libro prima, la storia giudiziaria ancor prima del libro e la serie oggi mettono in luce quella drammatica realtà e lo fanno esaltando le donne che, da dentro, come Lea Garofalo, Giuseppina Pesce e Concetta Cacciola, e da fuori, come la pm Anna Colace (unico personaggio di fantasia fra quelli citati), hanno contrastato una mentalità che costringeva le donne di n'drangheta a sposarsi giovanissime, "figliare" prima dei 20 anni e continuamente, occuparsi della casa, dei figli, dei mariti, dei fratelli, recludendole come carcerati tra le mura "amiche", impedendo loro di viaggiare, di fumare, di andare a fare la spesa da sole, di utilizzare il rossetto, il trucco o una scarpa col tacco per evitare di sembrare delle "bottane".

Vittime di un sistema che nasce prima del sistema criminale, divenendo parte di un tessuto culturale che vede la donna come oggetto e non come soggetto, come mezzo e non come fine o spalla o membro di pari livello di una società priva di ogni modernità.

Un plauso fragoroso va alle magistrali interpreti di queste donne.

Dalla pluripremiata Micaela Ramazzotti, alla confermatissima rivelazione Gaia Girace (L'amica Geniale), passando per la solidissima Barbara Chicchiarelli (Suburra), la talentuosissima Valentina Bellè e la sconosciuta ma bravissima Simona Di Stefano.

Anna Colace, ispirata alla figura della pm antimafia Alessandra Cerreti, fu la prima ad intuire che dentro la società criminale che la n'drangheta aveva costruito vi erano donne intelligenti, ardimentose, vive e vogliose di essere libere, alle quali bisognava prestare molta attenzione. Erano, loro malgrado, vittime e partecipi di quel sistema. Pedinare loro, intercettare loro, costringendole a parlare e, al tempo stesso, dando loro una via d'uscita, sarebbe stato un modo per mettere sotto scacco i loro mariti, i loro fratelli, i loro padri, boss e picciotti delle ndrine.

Dal punto di vista investigativo, quella della Colace fu un'intuizione geniale. Dopo decenni trascorsi ad intercettare e pedinare gli intoccabili e sfuggenti capi delle famiglie più pericolose della Calabria e dopo frustranti risultati, era arrivato il momento di cambiare strategia. Affondare la Ndrangheta, acciuffando quelle che per la N'drangheta erano il fulcro di ogni famiglia era una mossa rischiosa. Le donne, come qualsiasi essere umano nato sotto il giogo violento e asfissiante di aguzzini amici, avrebbero avuto paura anche solo di muovere un passo fuori dalla propria casa, figuriamoci se avessero mai potuto voltare le spalle alla propria famiglia, a quella famiglia che avrebbe ucciso il sangue del proprio sangue anche solo per un tradimento platonico, anche solo per una lucidata di rossetto, anche solo per uno sguardo intimo con un altro uomo, anche solo per una passeggiata di fronte alla caserma dei carabinieri. Figuriamoci cosa avrebbero potuto fare alle Lea, alle Cettina e alle Giusy di questo mondo se solo esse avessero osato testimoniare.

Ed infatti...

La storia giudiziaria e l'immaginario che questa serie ci proietta è proprio quello di un mondo cruento, ignorante e svilente a tal punto da uccidere le sue stesse figlie, le sue stesse madri, le sue stesse mogli.

Omicidio fisico, come quello di Lea.

Omicidio psicologico, come quello di Giusy.

Omicidio indotto, come quello di Cettina.

Uomini come Carlo Cosco vivono per se stessi, vivono per celebrare ogni giorno la propria ascesa ed ostentarne la riuscita.

Emblematico, in tal senso, il glorioso e maestoso party organizzato da papà Carlo, a pochi giorni dalla scomparsa (che poi si rivelerà un omicidio preterintenzionale) di sua moglie Lea, per celebrare il diciottesimo compleanno di sua figlia Denise.

Quella festa, fuori luogo, sbagliata nei tempi, sbagliata nei modi, indelicata, non necessaria, di cattivo gusto, viene sponsorizzata come la festa della giovane Denise ma diviene, in realtà, il manifesto per omaggiare il ritorno di Carlo Cosco, la rivincita di Carlo Cosco su una moglie che aveva preferito scappare da quella vita e denunciare tutti e che oggi festeggiava il compleanno di sua figlia dall'aldilà.

Carlo ha ucciso sua moglie, ha ucciso la madre della sua unica figlia e ne ha fatto un vanto, ne ha cucito sul petto una medaglia d'oro da far luccicare davanti ai padri, ai fratelli, ai mariti di quella terra maledetta che la Calabria è diventata a causa della Ndrangheta. Per tutti loro, Carlo da quel momento rappresentava un esempio da seguire, un idolo da applaudire e non più un semplice soldato.

I 6 episodi di The Good Mothers scorrono veloci con una potenza inaudita e con delle scelte, a volte anche molto semplici (ma mai banali), che ne rafforzano il racconto tutto.

Una su tutte riguarda la fuga di Denise in motorino sul punto più alto di Pagliarelle, paese natale di suo padre e sua nuova metaforica prigione. Arrivata su quel promontorio, libera dagli sguardi indiscreti di un intero paese, libera dal monitoraggio del suo amato Carmine, libera dalle telecamere di suo padre, Denise giunge in un punto panoramico in cui le sarà possibile guardare il mare, le montagne, il mondo dall'alto di quella libertà a cui stava bramando. Anche lì, anche nel pieno di quella sensazione di totale libertà, Pagliarelle le presenta delle sbarre che, a simulare una prigione immaginaria, si frappongono fra lei e quel mondo che lei, come sua madre Lea, vorrebbe tanto esplorare e di cui vorrebbe tanto far parte.

E stata un'immagine bellissima, degna di un grande film e che, nella sua semplicità, ha voluto mostrarci l'impossibilità di sfuggire a quel mondo.

Eppure a quel mondo una via d'uscita potrebbe esserci. Per intraprenderla c'è bisogno di coraggio infinito e dell'aiuto di quello Stato che si fa forte contro le mafie proprio quando riesce ad essere accanto alle vittime partecipi di quel mondo.

Anna Colace ha rappresentato, in questa serie, lo Stato ideale, quello che Falcone, Borsellino, Chinnici, Di Matteo e decine di altri magistrati hanno mostrato essere possibile.

Con uno Stato cosi presente, ramificato, costante ed empatico ci sarà sempre più spazio per donne come Lea Garofalo, Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce.

A loro dovrebbe andare la nostra gratitudine, il nostro applauso, la nostra ammirazione. A loro, nel mio piccolo, dedico questo post.


 

Sceneggiatura: 8

Regia: 8,5

Cast: 9

Genere: Drama

Complessità: 6,5

Originalità: 5,5

Autorialità: 7

Intensità/coinvolgimento emotivo: 9

Profondità: 9

Contenuti Violenti/Sessuali: 7

Intrattenimento: 4

Opening: 4

Soundtrack: 4

Produzione: Disney Plus

Anno di uscita: 2023

Stagione di riferimento: 1

Voto complessivo: 8


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