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Black Mirror 6: come è andata? Un bilancio sulla controversa sesta stagione

I 5 episodi che hanno costituito la chiacchieratissima Black Mirror 6 mi hanno offerto lo spunto per costruire quella che ho battezzato la "Settimana Black Mirror". Una settimana oramai dietro le spalle che trova la sua degna (?) conclusione con il post che state leggendo in questo momento.

Un post di lancio, unito a 5 post specifici su ognuno dei 5 episodi costituenti questa stagione e con l'articolo di oggi a chiusura, metabolizzazione e commento dell'intera annata, mi hanno permesso questo escamotage narrativo per tenermi e tenervi impegnati con questa Black Mirror Week in questa atroce, beffarda ed ineluttabile estate fatta di roghi, trombe d'aria e cambiamenti climatici inevitabili e inconfondibili (anche se c'è ancora una certa stampa, politica e fetta di società che si ostina a negare l'evidenza).

E quindi ripercorriamo, brevemente questo vento di cambiamento che è soffiato potentissimo su una stagione molto discussa e controversa su cui qualcosa di importante che avevo da dire l'ho già evidenziato nei post precedenti e che oggi posso, finalmente, ribadire con maggiore organicità e chiarezza.

Vi aspetto su telegram e gli altri social se vi va.

Una scena dal finale di Black Mirror 6 in onda su Netflix

La critica che viene mossa a Charlie Brooker da anni ha un preciso turning point, un momento che tutti ben conosciamo e che si nasconde dietro quel passaggio della mitica Black Mirror dalla nativa Channel 4 alla blasonata e modaiola Netflix. Per molti addetti ai lavori e per tantissimi spettatori, con quella transizione Brooker ha condannato la sua creatura a diventare qualcosa di più commerciale, fruibile e meno originale. Per tutti coloro che sposano questa visione, Black Mirror è morta con il finale della seconda stagione. Ciò che sarebbe arrivato dopo non avrebbe avuto nulla a che fare con la amata e acclamata serie distopica che, secondo moltissimi, ha cambiato per sempre il modo di fare televisione, l'approccio alla serialità. Un prima e dopo Black Mirror riguardante l'intero universo seriale ed un pre e post Black Mirror versione Netflixiana per tutti coloro i quali hanno vissuto i 12 anni di vita della serie britannica.

Per quanto mi riguarda, sposo in pieno la prima teorizzazione ma sono molto meno daccordo con la seconda.

Esisterà sempre un prima e un dopo Black Mirror mentre il passaggio a Netflix reputo sia stato molto meno influente sulla narrazione di quanto non si possa immaginare.

Black Mirror, con il suo arrivo nel 2011 ha prodotto un'onda lunghissima che ancora oggi avvertiamo. E' stata la prima serie tv, infatti, a mettere al centro di tutto il nostro rapporto con la tecnologia dipingendo scenari imprevedibili ma molto spesso verosimili e predittivi di un futuro che, prima o poi, avrebbe presentato il conto. In termini strutturali, invece, Black Mirror ha lanciato, o rilanciato, il formato antologico di cui poi in tanti si sarebbero serviti, da American Crime Story a Fargo, passando per True Detective e Love Death & Robots.

Dire che The National Anthem, pilot dello show, andato in onda il 4 Dicembre 2011, sia stato un punto di rottura col passato e di svolta per la serialità tutta, è un'affermazione tanto forte quanto realistica.

L'approdo di quella serie dirompente su una piattaforma streaming all'epoca lanciatissima e ancor più dirompente per il mondo della tv ha costituito una fusione che poteva lasciar presagire scenari onirici e fantastici che poi non si son manifestati, almeno non nella potenza che ci aspettavamo.

Il fatto che, poi, da qualche anno a questa parte, si sia aperta la caccia a Netflix, etichettando come commerciali anche i prodotti più riusciti, da Stranger Things a Squid Game passando addirittura per un capolavoro come The Crown, la dice lunga su come questa transizione sia stata oggetto di sperequazioni non sempre sensate.

E' indubbio che la qualità sia calata cosi come è indubbio che vi sia stato un radicale distacco dal genere più smaccatamente distopico e fantascientifico che albergava nei primi episodi ma attribuire questo cambiamento solo al passaggio a Netflix lo trovo assai superficiale come commento.

La Black Mirror targata Netflix è stata sempre e comunque capace di farci riflettere aprendosi a sperimentazioni sempre più frequenti che l'hanno portata ad essere un laboratorio sia in termini strutturali (vedi Bandersnatch) sia in relazione all'esplorazione di generi diversi da quelli noti (le scorribande horror e fantasy sono sempre più frequenti). La Black Mirror in versione Netflix, inoltre, ha saputo regalare, pur tra episodi non sempre perfetti, dei momenti memorabili legati a puntate come San Junipero e White Christmas che ancora oggi sono annoverate fra le pagine migliori della serialità contemporanea.

La sesta stagione rappresenta un momento chiave visto che, come proverò a raccontarvi, quel passaggio da un'anima distopica ad un'anima critica si fa più netto cosi come il mescolarsi tra generi diversi che lasciano presagire l'arrivo di una nuova era.

Aaron Paul in un'immagine da Beyond The Sea in Black Mirror 6

Volendo schematizzare fortemente la struttura di questa stagione potremmo riassumere che solo 2 episodi su 5 hanno tinte pienamente fantascientifiche, distopiche, tecnologico-centriche. Si tratta del primo e del terzo. Joan is Awful poneva al centro il nostro rapporto con i dati che elargiamo in giro sottoscrivendo policy, contratti, firmando clausole in bianco per poter essere abbonati a questo o quel servizio. L'episodio con Salma Hayek e Annie Murphy riesce benissimo nell'intento di metterci in guardia. I nostri continui consensi al trattamento dei dati potrebbero, ben presto, ritorcersi contro di noi, la nostra privacy, la nostra identità?

La domanda è aperta, è ampia e come sempre accade quando Black Mirror riesce a fare bene il suo mestiere, questa domanda instilla il dubbio senza permettersi di insinuare risposte più o meno facili.

Con Beyond The Sea l'asticella si alza ancora di più ponendoci di fronte ad un dilemma etico non da poco nell'epoca dell'esplosione dell'intelligenza artificiale. Saremmo noi ancora noi se fossimo rimpiazzati da un androide che pensa, elabora e prova sentimenti identici a quelli che avremmo provato noi? Ribaltando ancor più il concetto, i nostri cari sentirebbero di avere accanto noi o una copia di noi?

Uno straordinario Aaron Paul ha impreziosito ulteriormente una già ottima puntata.

Non è un caso se, a mio parere (ma anche ad avviso di IMDB e di migliaia di spettatori in todo el mundo) queste 2 siano state le puntate più apprezzate e riuscite. Chi guarda ed ha sempre guardato Black Mirror ha sempre cercato, e di riflesso ha sempre aspettato, episodi che andassero al cuore di problemi fantasiosi, eccentrici, improbabili eppure dannatamente possibili presto o tardi. Lo spettatore è come se avesse stretto un patto con gli autori, un patto che avrebbe permesso a questi ultimi di scuotere le coscienze degli spettatori stessi attraverso scenari del tutto fuori portata in termini di realismo ma vicinissimi a noi in termini filosofici.

Joan is Awful e Beyond The Sea non vengono meno a quel patto riuscendo a strappare quantomeno una pacca sulla spalla da parte degli abbonati Netflix.

Gli altri 3 episodi, invece, non solo verranno meno a questo tacito patto ma faranno urlare al tradimento visto che, oltre ad una mancata espressione filosofica, viene meno anche quello spazio-genere che faceva sentire tutti all'interno di una comfort zone distopica.

Loch Henry, Mazey Day e Demon 79 sembrano, infatti, usciti da altre serie tv, da altre serie antologiche con un filo rosso ben diverso da quello che da sempre ha attraversato gli episodi di Black Mirror.

Sono stati brutti episodi?

Assolutamente no.

Sono stati gli episodi che ci saremmo aspettati di vedere?

Assolutamente no, anche in questo caso.

Lo spaesamento è stato fortissimo, specie con gli ultimi episodi.

Black Mirror non sembrava più se stessa. Si stava trasformando, forse evolvendo, forse involvendo, ma verso cosa?

Zazee Beetze in Black Mirror 6

Credo sia difficile dare una risposta univoca e consistente a questo quesito.

Per quanto mi riguarda credo che Brooker e compagni abbiano sentito il bisogno di mutare la propria forma attraverso l'uso di generi come l'horror e il fantasy che prima lasciavano spazio al genere fantascientifico e/o drammatico. Un desiderio se vogliamo comprensibile per qualsiasi autore che, dopo tanti anni trascorsi nel solco di un certo format da lui stesso scelto e perfezionato, ambisce a sperimentare maggiormente sia in termini tecnici che narrativi anche solo per mettersi in gioco. In questo senso, credo sia importante ricordare che prima con Death to 2020 e poi con Cunk on Earth, Brooker abbia mostrato a tutti quanto possa essere in grado di reggere stupendamente il confronto con generi diversi da quelli con cui si era presentato al mondo con un biglietto da visita chiamato Black Mirror. Non deve stupire, dunque, che anche con la sua creatura più conosciuta egli abbia voluto avviare un percorso di mescolamento dei generi e sperimentazioni, più o meno riuscito (ma questo è un altro discorso).

Nella sostanza, a mio avviso, credo ci sia stata una presa di coscienza profonda da parte degli autori attraverso la quale si è capito che nell'anno di gloria 2023 molte delle cose che erano state raccontate in precedenza si sono avverate o, comunque, sono state oggetto di situazioni più o meno tangibili e concrete nel campo del reale e non più del possibile. Volendo andare oltre, negli ultimi 10 anni la realtà ha superato la fantasia sotto vari aspetti. L'ondata trumpiana in politica ne è una testimonianza. Vedere un imprenditore, tra l'altro indebitato fino al collo, senza un minimo di background culturale e politico, rubare a tutti la scena ed ascendere al trono del Campidoglio, provando poi ad "usurpare" con la forza quel trono quando elezioni democratiche, che 4 anni prima avevano eletto lui come presidente, avrebbero sancito la sua sconfitta, è un qualcosa che, francamente, 10 anni fa sarebbe stata impensabile.

I viaggi privati nello spazio di Musk e Bezos.

L'intelligenza artificiale che ha pervaso ogni settore.

Una pandemia che ci ha costretti a lunghi periodi di isolamento.

Un'economia che crolla ovunque.

Il cambiamento climatico che ci travolge nell'indifferenza generale.

L'internet of things divenuta realtà quotidiana.

Mille altre invenzioni ed innovazioni tecnologiche che farebbero impallidire la metà degli episodi di Black Mirror hanno sancito, a mio modestissimo parere, la fine della Black Mirror "solo" distopica o meglio "solo" legata alla distopia tecnologica.

Basta leggere 1984 di Orwell per rendersi conto che la distopia non è mai legata solo all'aspetto tecnologico anzi, molto spesso essa è legata all'egemonia politica, sociale, culturale di pochi nei confronti di altri.

In un mondo dove gli estremismi hanno, ahinoi, evidenziato un trend positivissimo, in un mondo dove dilaga il negazionismo, dove pare si sia persa la bussola morale, dove molti muoiono di fame o attraversando in zattera chilometri di mare aperto per salvarsi dalle guerre, in un mondo in fiamme o in scioglimento, in un mondo ricco di discriminazioni sociali, in questo mondo Brooker e i suoi autori devono aver pensato che il modo più efficace di portare avanti la poetica ed il lavoro avviato con Black Mirror fosse quello di snaturarla leggermente per poter meglio raccontare i tempi che cambiano, evolvendo o forse involvendo, in qualcosa di diverso, di spaventosamente diverso o, speriamo, di migliore.

Proprio come questa Black Mirror 6.


Sceneggiatura: 6,5

Regia: 6,5

Cast: 8

Genere: Sci Fi/Horror

Complessità: 8

Originalità: 8

Autorialità: 7

Intensità/coinvolgimento emotivo: 6+

Profondità: 9

Contenuti Violenti/Sessuali: 2

Intrattenimento: 4

Opening: 6

Soundtrack: 6,5

Produzione: Netflix

Anno di uscita: 2023

Stagione di riferimento: 6

Voto complessivo:- 7--




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